giovedì 20 dicembre 2012

Inspiegabilmente

Ascolto lei.
E all'improvviso c'è il sole. C'è una panchina piena di scritte. C'è una risata, in sottofondo. C'è una focaccia calda e salata. E il suo primo, piccolo sorriso. C'è una corsa affannata. Ed erba bagnata. Ci sono parole mai dette. E altre, dette troppo forte. C'è un silenzio da rompere. E qualche film da guardare. C'è una voce, nel buio. Che vuole essere ascoltata. Ma non ci riesce mai. C'è aria di sfida. E odore di fango. C'è un portone rotto. E un divano per cinque. Ci sono mani che tremano. Ed altre, che tirano schiaffi. Incontrollabili. Ci sono pensieri dimenticati. E paure che non passano. C'è il rumore dei pattini sull'asfalto. E i suoi capelli lunghi che si intrecciano ai miei. C'è un bicchiere pieno. E la voglia di chiudere gli occhi e non svegliarsi più. C'è il campanello che suona. E la musica alta. Così alta che io no. Non lo posso sentire.
E poi il buio. Le mani nascoste nelle maniche della giacca. Il naso freddo. Il culo bagnato. Gli occhi chiusi. Il silenzio. E una voce. La mia. Che segue il tempo, nella mia testa. Sempre la stessa canzone. Sempre la stessa. Fino a che non c'è più fiato. Fino a che non sorge il sole. E possiamo ricominciare a ridere. Per un po'. Fino a quando, voltandomi. Non vi vedrò più.


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mercoledì 19 dicembre 2012

Sono senza parole.

Ma sono qui.
Sono sempre stata incostante. E' una parte di me che non credo di poter cambiare. Forse nemmeno voglio farlo.
Le giornate volano così.
Le lascio andare come se non me ne importasse niente. Come se andasse bene così.
In realtà non va bene un cazzo. Vado bene solo io. Nonostante quegli sguardi. Nonostante quei pensieri. Che dovrebbero essere nascosti. Sotterrati. Murati vivi. E invece sono qui. Davanti a me. E mi fissano. Pensano di potermi sorprendere. Pensano di potermi ferire. Non hanno capito niente. E' evidente.
Ma io sono immune, a tutto questo. Loro non sanno. Non sapranno mai. Solo io so.
So cose che non vorrei sapere.
So cose che non dovrei sapere.
So che, comunque. Qualcosa dovrà pur succedere. Altrimenti.
Altrimenti è come se non fossi qui. Come se non ci fossi mai stata.


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venerdì 14 dicembre 2012

Mi ricordo

Che da bambina chiudevo gli occhi, univo le mani e pregavo Dio.
Gli chiedevo di non farmi prendere brutti voti a scuola. Così papà non si sarebbe arrabbiato. E magari per una volta non mi avrebbe tirato le orecchie.
Gli chiedevo di non far morire mai i miei genitori.
E di non far venire il terremoto. Perché mi faceva paura. Quella crepa sul soffitto di nonna mi teneva sveglia la notte. Mentre lei russava e rigirava il corpo nel letto. Col suo rosario appoggiato sul comodino. Che le dava un senso di pace. O almeno io credevo così.
Poi una sera qualcosa è cambiato. Stasera mi spieghi quella telefonata in bagno. Ha detto lei, dandogli le spalle. E niente è stato più come prima.
Nonna mi fissava, com sguardo severo. E io facevo finta. Perché le preghiere non le volevo dire più. Dio non era più mio amico. O forse non l'era stato mai.
Perché tutto si stava sgretolando. E niente avrebbe cambiato le cose. C'erano pagine di diario bagnate dalle lacrime. E nessuno più ascoltava. Ognuno guardava dritto davanti a sé. Solo io non riuscivo a farlo. Perché davanti a me non vedevo niente. E questo faceva rabbia. Tanta rabbia.
Dove sei, Dio? Lo chiamavo. Lo insultavo. E gli chiedevo come poteva permettere che succedessero certe cose. Se sei così onnipotente, com'è che te ne stai lì a guardare? Com'è che tanta gente muore? Com'è che ci sono le guerre? Com'è che tante persone non hanno da mangiare? Com'è che la mia vita fa schifo?
E' per il libero arbitrio, dicevano loro.
Vaffanculo, rispondevo io. Inventatene una migliore. Che questa a me fa proprio cagare.


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giovedì 13 dicembre 2012

Devo ancora riprendermi


Lo ammetto. Il weekend alcolico e senza sonno mi ha devastata fisicamente e psicologicamente. Ho recuperato solo ieri l'uso della parola. E solo stamattina mi sono ricordata che mi chiamo Ade, ho venticinque anni, ho un gatto e un fidanzato. Insomma. Se volete i particolari succosi del fine settimana, li trovate qui. Che io zero sbatti.
E niente. Ieri è venuta a trovarmi lei.
E ci siamo volute subito bene.
 

 
Ma non poteva essere altrimenti. Ecco. Siccome ho da lavorare e Il Disturbatore mi parla imperterrito da un quarto d'ora infischiandosene bellamente del fatto che io stia facendo altro e non stia per niente ascoltando le sue cazzate, vi abbandono con una carrellata di immagini.
Tornerò. Forse. Ma non stasera. Perché c'è il Milan. Eh.



Le sfogliatine che ho amorevolmente preparato per Alle.

La torta (buonissima) gentilmente offerta dalla coinquilina di Alle.

"Volemose bene". Indovinate con chi?


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lunedì 3 dicembre 2012

Paco


Miagolava forte. Pioveva. E tutti gli passavano davanti, buttando giusto uno sguardo nella sua direzione.
Paco, strofinava il muso sulle mie gambe. Poi, con un balzo, eccolo sulle ginocchia che tremava. Chissà, forse sarebbe andato tutto bene. Questa volta.
Paco, sotto all'ombrello. Accovacciato su di me, che gli parlavo. E gli dicevo che presto tutto sarebbe cambiato. Che non avrebbe più fatto così freddo. Che non ci sarebbe più stato l'asfalto duro e umido a spezzargli le unghie. Che la vita non sarebbe più stata così difficile. Una pazza, insomma.
Paco. Le sue ferite. Quei dentini spezzati. E quelle cicatrici che forse un giorno potrà dimenticare di avere.
Paco. Annusa dappertutto. Esplora ogni angolo. E, piano piano, noi impariamo che a Paco piace:
Il suo tiragraffi di cartone.
Mangiare.
Il mio divano rosso.
Dormire in mezzo a noi.
Mangiare.
Miagolare per attirarsi le coccole.
Seguirci per tutta la casa.
La sua sabbietta.
Mangiare.
Fare le fusa.
Fare gli occhietti languidi.
Stare in braccio.
La mia ombra mentre faccio colazione.
La freccetta del mouse.
Mangiare.
Il mio divano rosso.
Rispondere con un miagolino quando gli dico qualche cosa.
Strofinare il muso sulle mani.
Farmi lo sgambetto.
Giocare con i pezzetti di crosta della pizza.
Mangiare.

P.S.
Grazie, gente. Per il vostro supporto tecnico.


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