domenica 6 dicembre 2020

Mi bruciano gli occhi.

La testa, la pelle, tutto.

Torno qui perché non so dove altro andare.

Vago e vorrei spiegarlo, questo vagare, ma non so da che parte iniziare.

Non so chi sono, cosa faccio, che senso ha.

Mi guardo allo specchio e mi faccio schifo.

Se sapessi esprimerlo a parole, lo farei?

Inizio cose che non finisco.

Non le finisco perché non sono capace.

Non sono capace perché non valgo abbastanza.

Non valgo abbastanza perché lo penso io.

Perché lo penso, io?

Attitudine, atteggiamento, maschera.

Dentro sei vuota, vuota, VUOTA.

O quanto meno ti piacerebbe che fosse così.

Questo post è stato originariamente scritto su Swanza blog, da Ade. E' possibile copiarlo parzialmente o interamente e modificarlo, basta che il post originale venga linkato

venerdì 30 ottobre 2020

Il blog è morto.

E non solo lui.
Anche mia madre è morta. A giugno.
E forse sono morta un pochino anch'io.
Può succedere, no?

Ma non sono qui per parlarvi della morte di mia madre. Né di quanto io mi sia fatta schifo, dopo. Della colpa, del rimpianto, del rimorso, degli schiaffi in faccia a mano aperta perché cristodio ma come cazzo hai fatto a non pensarci, tu? Com'è che sei stata così egoista, tu? Invece di portarla al mare, di abbracciarla, di guardare la tv mangiando il gelato come facevate sempre quando eri piccola, che hai fatto, tu? L'hai trascinata in un vortice di merda, il TUO vortice di merda. Quello in cui ti trascini quando vuoi a tutti i costi capire le cose, mille libri, la dieta, porcaputtana ti dico che ce la farai, smettila di avere paura, SMETTILA.
E invece no, cazzo. Non ce l'ha fatta. E' morta. Ed io le ho mentito, ok? Le ho detto che ce l'avrebbe fatta. E invece no.

Ma adesso basta.
Avevo detto che non avrei parlato di questo.
Perché non voglio piangere, sono stanca di piangere, piangere mi sfinisce.

Non ho scritto per tanto tempo.
E adesso ci sto provando, lo giuro.
L'ho promesso anche a lei.
Le ho detto che scriverò per lei, di lei.
E, in qualche modo, ho iniziato a farlo.
C'è un incipit che ho scritto in macchina, sulle note del cellulare, singhiozzando.
Lui è lì, mi sta aspettando.
So che ha tanta, troppa pazienza.
Ce ne vuole un quintale, con me.

Ultimamente mi è successa una cosa.
Come una specie di click nella testa.
Tutto si è spento, o quasi.
Sono affetta da estrema indolenza, a tratti.
Voglio solo chiudere gli occhi e immaginare.

Se non puoi vivere, scrivi.

Ci sto provando, ho detto.
Ci sto provando.

Il blog è morto.
Ma, nella mia testa, i morti risorgono.
Continuamente.

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lunedì 27 gennaio 2020

Riflessioni inutili sull'umanità

Da quando ho deciso di smetterla di aggiornare il curriculum e dedicarmi alla scrittura, mi è capitato spesso che mi domandassero: ma perché non provi a scrivere per qualche sito?
La mia risposta, in quelle occasioni, è stata sempre la stessa: perché non è roba mia, io scrivo romanzi.
Ed è la verità.
Recensire, parlare di attualità, non sono attività che mi ritengo in grado di svolgere, perché, in me, l'atto di scrivere, deve nascere in modo spontaneo, non può essere in alcun modo spinto da qualcosa di esterno.
Per farla breve, se qualcuno mi dicesse: orbene, scrivi una bella recensione sul tal libro che hai letto. La mia recensione farebbe più o meno così: c'è questo tizio che fa questa cosa e poi, niente, finisce in merda. Non ci troverete arzigogolate riflessioni sul senso dell'opera o roba simile, a meno che non mi siano venute alla testa così, senza domandarlo.
E niente, manco nello scrivere so mentire o artificiare qualcosa.
Il punto è che, quando leggo una recensione (di un libro, di un luogo, di un film…) colma di pensieri, sensazioni, metafore, allusioni, io mi annoio A MORTE.
Cioè, mi viene proprio da pensare: oh ma arriva al punto, no? Cazzomenefrega di sapere cosa ha suscitato in te la descrizione del colore del cielo nel primo paragrafo del capitolo quattro?
Niente, proprio.
E sapete perché?
Perché sono fermamente convinta che uno certe cose le prova e poi non le riesce a far provare ad altri solo perché descrive ciò che ha provato.
L'arte è soggettiva. Tutto è soggettivo.
Ad ogni modo, non so perché sono arrivata a parlare di questo.
Stamattina mi sono svegliata e ho letto delle elezioni in Emilia Romagna.
Ho pensato: evviva. E poi: wow. E poi: ma sticazzi, cosa cambia?
Ho pensato alla pila di Internazionale (circa sessanta) che ho sul comodino e che leggo, sporadicamente, senza riuscire a finirne uno, perché non sopporto più di apprendere, da notizie sempre diverse, quanto l'umanità faccia schifo. L'ho capito, ormai, che senso ha?
Ho pensato al fatto che, alla fine, in un modo o nell'altro, abbiamo sempre fatto un po' schifo.
Non ho ricordi di periodi storici in cui, anche solo per un attimo, abbiamo smesso di fare schifo.
Abbiamo ucciso Socrate, Gesù, milioni di ebrei e di nativi americani.
Abbiamo ucciso chiunque fosse diverso, chiunque ci facesse comodo uccidere, chiunque non ci fosse in qualche modo utile.
Abbiamo reso schiave persone uguali a noi, sopraffatto i più deboli, riversato la nostra merda dove non poteva nuocerci, e pazienza se in tal modo avrebbe danneggiato qualcun altro, abbiamo sfruttato qualsiasi creatura per i nostri scopi, spesso non lodevoli, abbiamo umiliato, mortificato, sacrificato in nome di questo o quello, abbiamo inquinato la terra, scatenato reazioni a catena, costruito case dove non avremmo dovuto, e lo sapevamo, ma ci faceva comodo così, abbiamo trafficato, spiato, sentenziato, lanciato bombe, creato confini in luoghi che non ci appartenevano affatto, messo becco in cose che non ci riguardavano, finto di essere migliori, arrogandoci diritti che non ci spettavano, prendendo decisioni che non ci competevano, abbiamo rubato a chi necessitava di ciò che rubavamo per vivere, per ricostruire, abbiamo venduto a chi, lo sapevamo, avrebbe usato i nostri beni per nuocere, abbiamo puntato dita, ci siamo inventati colpe e nemici, abbiamo fatto guerre, seminando sangue e discordia.
In tre parole: abbiamo fatto schifo.
E continuiamo a farlo.
Ma che, davvero, posso essere felice perché le elezioni in Emilia Romagna sono andate come speravo? E che cosa cambia, questo?
Nulla.
Perché, alla fine, il male è dentro di noi. C'è sempre stato e sempre ci sarà.
Umanità, citando Treccani, significa, tra le altre cose: sentimento di solidarietà umana, di comprensione e di indulgenza verso gli altri uomini.
Trovo questa parolà di una disonestà disarmante.
Umanità, dal canto mio, dovrebbe significare qualcosa come: matrioska di sentimenti contrastanti che non siamo sempre in grado di controllare e/o direzionare.
Rabbia, invidia, odio, vendetta, avidità, egoismo, volontà di sopraffazione giocano a pari passo con amore, gioia, pietà, umiltà.
Si mischiano, si confondono, si spintonano.
C'è chi è più bravo a controllarne alcuni, un po' meno altri, e viceversa.
C'è chi non li controlla affatto, chi li controlla tutti.
Questa nostra capacità di dominare i sentimenti che ci appartengono dovrebbe, quindi, dividerci in buoni e cattivi, no?
Io controllo l'odio, la rabbia, l'invidia, l'avidità e per questo sono buono.
Io controllo l'amore, la pietà e l'umiltà e sono cattivo.
Ma è davvero così?
Non dipende, forse, anche dal punto di vista di chi ci osserva?
E non è vero, poi, che siamo perfettamente in grado di provare amore e odio allo stesso tempo?
Magari amiamo i bambini, ma odiamo i cani.
Forse amiamo Israele, ma odiamo i palestinesi.
E quindi, siamo buoni o cattivi?
Io non lo so.
Ed è per questo che non scrivo di attualità.
I miei scritti sarebbero aporetici, come questo.
So di non sapere.
Socrate direbbe di me: allora sai più degli altri.
Io dico: non lo so.

La vita è dura, come sempre.
Io la vivo piena di rabbia, il più delle volte, anche se so che mi fa male.
Non la controllo, questa è la ragione.
Se la controllassi, ne farei volentieri a meno.
Ogni giorno è una sfida, una lotta.
Non so chi mi stia mettendo alla prova né perché, ma accolgo tutto e me ne faccio una ragione, prima o poi.
Di sicuro ci rifletto su.
C'è una persona a cui tengo che è gravemente malata. L'ho presa male, all'inizio. Ora provo a tenerle la mano e a combattere con lei.
C'è la quotidianità che mi sfianca, anche se so che sto andando nella direzione giusta.
I giudizi esterni arrivano e mi colpiscono come frecce avvelenate, non ho ancora imparato a gestirli.
Non è facile, quando giungono da persone da cui invece vorresti affetto e, magari, stima.
C'è il mio secondo libro tra le mani del comitato di lettura del Calvino, e l'ansia che ne consegue.
Ci sono quelle diciassette pagine che mi aspettano.
Ci sono i milioni di libri che devo ancora leggere.
Ci sono io.

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venerdì 4 ottobre 2019

Estraniarsi

Dal mondo, dalla vita, da tutto.
Ecco cosa mi servirebbe per poter lavorare in pace.
Certo, so che non è possibile.
Dovrei essere tipo un'ereditiera e vivere in un cottage sperduto nella macchia mediterranea (oh ma quanto sarebbe figo?).
In ogni caso, nonostante il mondo e la vita continuino imperterriti a cagarmi la minchia disturbarmi, ho finito il mio secondo romanzo, ormai da qualche settimana.
Cerrado, closed, geschlossen.
Inutile dirvi quanto io sia orgogliosa di me.
Nei prossimi giorni dovrò:
  1. trovargli un titolo
  2. completare la sinossi
  3. stamparlo
  4. inviarlo al Premio Calvino
Sì, perché ho deciso di partecipare anche quest'anno, con questo nuovo lavoro. Determinante per la mia scelta è stata la valutazione che ho ricevuto sul romanzo precedente, che come sapete non è arrivato in finale. L'ho trovata utile e necessaria perché, nonostante non mi sia trovata completamente d'accordo con alcuni dei suggerimenti che mi sono stati dati, mi ha fatto bene sentirmi dire da qualcuno di competente che il mio lavoro è figo, che il mio stile è figo e che ci sono tutti i presupposti per la pubblicazione (salvo alcuni dettagli che secondo loro dovrei cambiare, ma che non cambierò perché sono arrogantella e supponentella).
Comunque, quest'estate, mentre sfrecciavo per viale Monte Ceneri con la mia mountain bike, la mia testolina è stata folgorata da una nuova idea.
E quindi è con immensa gioia che vi comunico, miei carissimi amici, che l'Ade del vostro cuore sta ufficialmente per iniziare il suo terzo romanzo.
Non si scherza un cazzo, qui.
Se non mi sentite, sapete perché (in caso contrario andate a rivedervi il titolo e le prime due righe di questo post).
Cià.

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mercoledì 7 agosto 2019

Stamattina dovrei scrivere

Ma il mio umore rasenta il pavimento o forse no, forse sono troppo ottimista, dovrei dire che rasenta il confine sotterraneo della biosfera, per essere precisa al millimetro.
Certo, considerando che ho deciso di fare della scrittura il mio lavoro - per il momento non retribuito, ma va bene -, forse dovrei infilarmi il mio umore di merda su per il culo e costringermi a fare qualcosa.

Dovresti, sì.

Non è detto, poi, che non ne venga fuori qualcosa di buono, anzi, che dico, di ottimo. In fondo è proprio così che tutto è iniziato, no?

Tu, il tuo umore di merda, l'alcolismo e il fortuito incontro con la pagina bianca.

Bello, potrei scriverci un libro.

Guarda che l'hai già fatto, più o meno.

Niente. Sto scrivendo un romanzo che tratta un tema - anzi, diversi temi - delicato e sono sicura che ne uscirà qualcosa di wow. No, che dico, doppiowow.

Se solo tu lo scrivessi, invece di stare qui a cincischiare.

Beh, non sto cincischiando, perdinci. Sto facendo delle chiacchiere con i miei amici, qui. Bisogna pur essere socievoli, ogni tanto, no?
Comunque. Siccome in codesto post vi ho tediati con una delle mie delusioni adolescenziali, ho pensato che potrei raccontarvi cosa è successo dopo, col tizio pelato. Così, per rallegrarvi/ci un po'.
Allora, urge una premessa.
Una delle amiche in questione era fidanzata con un napoletano possidente e insopportabile, proprietario di un grosso bar da qualche parte a Milano, il quale era una specie di Christian Grey dei poveri: geloso, tendenzialmente stalker, maniaco del controllo. Il tizio pelato - che per semplicità  e per non sembrare discriminatoria da ora in avanti chiamerò Ugo - era un suo amico/dipendente che si era appena mollato con la fidanzata con cui stava insieme tipo dai tempi dell'asilo. Insomma, la faccio breve. Ugo ha parlato di questa storia andata male per tutta la sera: i due erano felici, si sarebbero sicuramente sposati, lei piaceva a mamma, eccetera. Io ero in condizioni pietose, non mettevo cibo nello stomaco da circa ventiquattro ore, ero piuttosto avvezza al consumo spropositato di bevande alcoliche e avevo la mia amica che mi faceva il gomitino.
Che poi io la invidiavo un sacco, lei. Ché era proprio il mio opposto. Era fidanzata con la noia in persona e scopava in giro con gente di cui poi non si ricordava manco il nome. Io, invece, di scopare così per sport non ne ero mica capace. Doveva esserci qualcosa di più, qualcosa oltre. E quindi questa sua intraprendenza indifferente me la faceva stimare. Mi faceva pensare "guarda, lei sì che non si fa fottere - cioè, nel senso, vabbè avete capito - dal primo stronzo che passa, lei se ne sbatte".
E quindi niente, lei mi faceva gomitino e quel gomitino voleva dire "dai figa, fatti una scopata con questo tipo e non pensarci più.".
Così, non so come, alla fine Ugo mi ha riaccompagnata a casa, mi ha infilato la lingua in bocca e probabilmente pretendeva pure di infilarmi qualcos'altro da qualche altra parte. Però niente, picche.
Perché un mascalzone a settimana mi sembrava più che sufficiente. E ciaone all'intraprendenza indifferente, proprio.
Però Ugo era proprio triste, in quei giorni, e gli serviva un diversivo. Così fu organizzata un'uscita a quattro e vabbè, vediamo un po' che succede.
Dovete sapere che ai tempi ero un tantino "maschia". I miei pantaloni preferiti erano di sei taglie in più, adoravo le scarpe da skate (quelle grosse e ciccione) e mi piaceva atteggiarmi da teppista.
Quella sera, però, fui indotta a indossare una minigonna di jeans perché dai, figa, stiamo o non stiamo uscendo col BMW, eh.
Quando Ugo mi vide, come prima cosa strabuzzò gli occhi, poi mi chiese se, per caso, la mia gonna non fosse un pelino troppo corta.

No. Ma. Cosa.

La mia risposta fu, chiaramente, no. No, testina di cazzo, la mia gonna va benissimo così e, se ti crea qualche problema, puoi sempre girare la tua crapetta pelata dall'altra parte. Che poi, dei finti moralismi fatti da uno che la prima sera che m'ha incontrata ha tentato di togliermi le mutande, parliamone.
Della serata non mi ricordo un tubo, però so per certo che Ughino bello è andato in bianco anche quella volta. Fortuna vuole, poi, che io fossi in partenza per le vacanze con mio padre, forse le ultime fatte insieme, così ho potuto evitarmi altre uscite pallose.
Ma Ugo no, non demordeva. A lui 'sta cosa di essere andato in bianco non andava giù, santa pazienza. Così mi scriveva messaggi su messaggi - di un romanticismo stomachevole - e mi coinvolgeva in telefonate serali durante le quali mi chiedeva se stessi facendo la brava, se mi stessi vestendo bene e cose così. Io gli rispondevo a monosillabi, col cervello occupato a guardare Prison Break, togliendomi pezzi di noccioline dai denti.

Che bella immagine.

Lo so.
Una sera, però, la chiamata di Ugo è arrivata in un momento un po' delicato. Tipo che ero leggermente sbronza. Ugo se n'è accorto sì, occhio di falco (cioè, orecchio… vabbè avete capito), lui. E ha cominciato a tirarmi un pippone assurdo che ha raggiunto il suo culmine con "una ragazza non dovrebbe bere, quando torni a Milano dobbiamo fare un discorsetto, perché adesso che sei la mia fidanzatAHAHAHAH."
Cazzo, se ho riso.
Ho riso tanto che Ugo, alla fine, non mi ha più cercata. E si è rimesso con la sua ex, quella che piaceva a mammà.
Tutto questo per dire che, mi raccomando regà, le amicizie sceglietevele bene.
E se la vostra amica del cuore cerca di farvi uscire con l'Ugo della situazione, santa pazienza, non siate accondiscendenti solo perché siete appena usciti da una delusione d'ammòre.
Mandateli tutti in mona. Subito.

Post Scriptum
Il post che avete appena letto è stato scritto tempo addietro dalla signorina Ade Swanza e mai pubblicato. Questa mattina, per vostra immensaggioia, la suddetta l'ha ripescato tra i duemila post iniziati e mai terminati, perché aveva voglia di socializzare con voi ma non aveva il tempo materiale per farlo. Poi venite a dirmi che non vi amo, eh?

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venerdì 2 agosto 2019

Buio pesto

Succede che sei lì, sul tuo letto, nella tua camera, con il tuo computer sulle gambe e una dozzina di libri abbandonati al tuo fianco, una biro, un taccuino, il cellulare, una gatta, una tazza di caffè, due pacchetti di crackers che assorbono l'alcool che è una meraviglia, il sole, il ventilatore puntato, lo sbadiglio cronico, la testa lenta.
Sono giorni che stai tappata in casa a scrivere, a rileggere, a pensare.
Pensare non è bene, lascia che le parole fluiscano veloci, in un percorso unidirezionale senza tappe né fermate né soste per pisciare, lasciale correre per il sistema nervoso, lascia che siano le dita a decidere, molla il colpo, sorella.
La gatta si lecca il culo. Le dai un calcetto perché, dai, cazzo, mi distrai con quel rumore di lingua ruvida che pulisce l'indicibile, vieni, dai, vieni di là che ti do un crocchetto e non spaccare più la minchia.
Bevi un sorso d'acqua, anzi due, un altro caffè, perché no, il caffè ci sta sempre bene.
Buio pesto.
La finestra sbatte, la gatta ti guarda, è in allarme.
Infili le infradito, esci, trascini le piante, ti lasci frustare dal vento che, ti sta avvisando, non ci andrà piano, ha in mente grandi cose, per noi.
La persiana sbatte, il sole si nasconde, il ventilatore è spento, gli antifurti suonano, tagli una mozzarella, un pomodoro, due olive. Mangi in piedi, davanti alla finestra, il vento infuria - te l'aveva detto - le gocce frantumano l'aria e si schiantano a terra con fragorosi cic.
Torni di là, apri un libro, le folate sollevano tende, tendoni, pezzi di ferro instabili sui tetti.
La distruzione pare imminente, saluta tutto ciò che conosci, digli addio o arrivederci, stai pronta ad arrangiarti, dimentica ciò che hai avuto fino ad oggi.
Dì, te ne eri accorta della fortuna?
La gatta dorme e, ogni tanto, muove la bocca.
Devi finire il libro, manca poco, pochissimo.
Quelle parole che aspettavi arrivassero a nutrirti l'anima o a danneggiartela per sempre sono arrivate, un po' miele, un po' fiele, le hai rigirate tra le dita, annusate, leccate, mandate giù.
Ti servivano, è evidente, non riuscivi a concentrarti su nient'altro, in loro attesa.
Dovevano farti da conferma o da boia, come se ogni tuo respiro dipendesse da loro e, in loro assenza, shhh fai piano, inala meno aria che puoi, da brava, fallo per me.
Devi finire il libro, manca poco, pochissimo.
Buio pesto, dove sei?
Ti sei fatto irretire dalla luce, plagiare dal cielo, trascinare dal vento?
Apri gli occhi, bambina.
Il momento è qui, ora.
Ti aveva avvisato, lui.
O no?

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martedì 18 giugno 2019

Mi scappa la pipì ma non ho voglia di alzarmi

E dopo un titolo così, che altro dovrei aggiungere?

Ma una marea di minchiate, mi pare ovvio!

No, non è vero.

Intanto volevo salutarvi: ciao!

Sì, sono pirla.

Ho aperto Office questa mattina e lui mi ha amabilmente ricordato che non aprivo il file del mio romanzo dal trentunocazzodimaggio. Ne vogliamo parlare?
E parliamone.
Mi sono bloccata, regà.
Cioè, sono piena di idee ma mi fanno tutte irrimediabilmente cagare dopo circa quattro secondi che il mio cervello le ha elaborate. Come la mettiamo?
La mettiamo che mannaggiaacristo, no?

Però succedono anche cose belle, e ora ve ne racconterò una. Forse due.
Poco tempo fa io e lui abbiamo partecipato a una manifestazione e, per l'occasione, abbiamo creato un fantastico striscione (il primo della nostra vita!) sul quale io ho voluto mettere una frase - che trovavo alquanto azzeccata - presa da un libro di Michela Murgia che mi è piaciuto molto. E insomma, tutti che ci volevano fotografare perché, chevvelodicoaffare, il nostro striscione era BELLISSIMO. The next day ho pubblicato una mia foto tutta sorridente e giuliva mentre soffrivo come un cane perché porca zozza pesava un cifro tenevo, in maniera molto aggraziata, questo striscione sopra la mia testa.
Indovinate un po' chi mi ha messo il fantomatico cuoricino?
Matteo Salvini!
No, è una cazzata.
Michela Murgia, no?
Tutto io vi devo dire, santa pazienza.
E non finisce qui! Perché, poco dopo, sul suo profilo - della Murgia - compare una foto di lui (stupenda, tra l'altro) mentre sorregge il suddetto cartello.
E niente, mi sono sentita molto emozionata.

Ma non è finita, regà. Perché il meglio arriva adesso.
Qualche settimana fa iniziava la mia crisi creativa e così, presa dalla disperazione, mi sono piantata sul terrazzo a divorare un romanzo meraviglioso: La Figlia della Libertà, di Luca di Fulvio.
Siccome volevo condividere quel momento con quella novantina di cristiani che mi seguono su Instagram, ho deciso di scattare una foto e, dopo qualche giorno, indovinate chi mi ha messo il fantomatico cuoricino?
Michela Murgia!
No, 'rcaccia la miseria!
Luca di Fulvio, no?
E non solo, regà!
Ha lasciato anche un commento e lì io mi sono praticamente pisciata addosso dall'emozione.

Ade, devo dirti una cosa che forse ti lascerà alquanto interdetta. Uno scrittore è una PERSONA come te, capisci? Non è un DIO. Mantieni la calma.

E niente, c'è stato uno scambio di commenti durante il quale io mi sono sentita la donna più fortunata della terra, salvo poi domandarmi se a scrivermi fosse davvero davvero lui e non un membro qualsiasi del suo entourage che si è divertito a percularmi.
Ho deciso di credere che fosse lui. Perché nella vita - mi sono detta - ogni tanto può capitare che succeda qualcosa di bello anche a me, no?

Insomma, questa mattina mentre facevo la cacca scorro Instagram e metto un paio di like a delle foto che mi piacciono, no? Poi inizio a preparare la roba per la palestra e il telefono vibra. Lo guardo. Piego la testa di lato tipo piccione. Messaggio privato di Luca. Rispondo. Risponde. Rispondo. Mi dice: scrivi. Io gli dico: sì.
Metto via la roba della palestra e accendo il computer.

Ora devo salutarvi, regà.
Perché se Luca mi dice scrivi, io devo scrivere.
Pure se mi sembra che tutte le mie idee facciano cagare, pure se mi si anchilosano le dita, pure se mangio troppo kefir e vado in sciolta.
Se Luca ordina, Ade fa.
Fine della storia.

Ps
Se tra voi c'è uno psicologo, un amante e profondo conoscitore della psicologia, un cazzone che a tempo perso si spara Freud, Jung e amici loro, che abbia voglia di fare due chiacchiere con me e aiutarmi a delineare un personaggio che mi sta facendo venire l'orticaria, mi contatti in privato. Oppure potrebbe essermi utile anche qualche titolo. Sto cercando qualcosa sulla psicologia dell'individuo in seguito a un trauma. Ho già letto i Tipi Psicologici e La Psicologia e Patologia dei Cosiddetti Fenomeni Occulti di Jung e Ossessione, Paranoia, Perversione di Freud e non mi sono serviti a un cazzo se non a scoprire che anche nel '900 la gente non ce la poteva fare.

Cià.

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