venerdì 10 giugno 2016

Trovare l'equilibrio.

E mantenerlo, solo per un attimo.
La felicità non è una linea retta, ma una sequenza discontinua di curve.
Mi chiedo se sia possibile accorgersi di aver raggiunto il punto di rottura, quel luogo in cui, una volta finiti col culo per terra, si decide che, boh, vita fai il cazzo che ti pare, che qui ci siamo belli che rotti.
Il tizio seduto di fronte a me ha una fede al dito, dei peli di gatto sul ginocchio sinistro, porta i baffetti e una camicia azzurra che, tirandosi, si apre sulla pancia, mostrando l'ombelico.

Sei felice, tizio? Lo sei stato e ora non lo sei più? Vivi o trascini la vita?

È difficile stare in una realtà in cui tutto ti appare come una menzogna. È difficile tenere gli occhi aperti mentre mi sussurri ciao ed io vorrei solo chiederti di non andare.
Ma non lo faccio, no.
Perché ho deciso di lanciarmi di nuovo nell'oblio. Domani per me non ha nessun significato.
Oggi sono qui. Sono viva, forte, pronta.
Ti ho strappato quelle chiavi dalle mani e le ho messe al sicuro.
Questo mi ricorda qualcosa.
Mai, sempre. Due parole che non hanno senso in sé, possono averlo solo se decorate da mille, complicatissime formule incomprensibili.
E tu non ci capisci un cazzo ma non lo vuoi dire.
Io invece lo dico, che non ci capisco un cazzo.
Tanto sai poi a me che me ne frega.
La signora che scende dal bus insieme a me ha i capelli arancioni e porta gli occhiali. Indossa una camicia rossa e trascina un carrellino altrettanto rosso, di quelli per la spesa. Va nella direzione opposta alla mia e, quando ci incrociamo, la sento domandare al vento se anche lui abbia ricevuto la lettera per i contatori del gas.

Sei felice, signora? Lo sei stata e poi non lo sei stata più? Riesci a rendertene conto, adesso?

Questo post è stato originariamente scritto su Swanza blog, da Ade. E' possibile copiarlo parzialmente o interamente e modificarlo, basta che il post originale venga linkato

sabato 4 giugno 2016

Quel che mi si chiede di fare, qui, ora, è scegliere.

È una cosa in cui non sono mai stata brava.
Ho imparato, sto ancora imparando a farlo. Perché a un certo punto o sei in grado di scegliere per te, o saranno gli altri a farlo. O forse non lo farà nessuno.
E ti ritroverai sola, seduta sul pavimento del bagno, a piangere abbracciandoti le gambe, perché non sai dove andare.
Sono una persona dai sentimenti irrazionali, questo lo so.
Mi sono innamorata di te quel giorno in cui, sdraiati sul mio letto, abbiamo aperto un libro e ci siamo immersi in lui per ore.
Avrei voluto fermare il tempo.
Non ti conoscevo affatto.
Eppure dentro di me una voce mi diceva “è lui”.
Sono passati mesi, da quel giorno.
Nove, per la precisione.
E quella voce non se n’è andata mai. Non ancora.
Forse non lo farà. Forse se ne andrà domani.
Ed io sono qui, ora, sola. Seduta di fronte alle uniche due strade che mi appaiono possibili.
Entrambe mi vogliono forte di una forza che non sono sicura di avere.
Dirti addio, adesso.
Trovare il modo di andare avanti sapendo che non ci sei più. Che non sarai tu. Che non lo sei e non lo sei mai stato.
Oppure restare, accettando il rischio.
Restare, sapendo che i tuoi dubbi e le tue paure potrebbero, presto o tardi, allontanarti da me.
Ed io dovrò essere in grado di lasciarti andare.
Restare, provando a nascondere a me stessa quello che provo, celando da qualche parte nel mio universo quella sensazione che mi spinge a vederti nella mia vita a prescindere da tutto.
Restare, amandoti in silenzio, sapendo di non essere amata e chiedendomi se, chissà, forse oggi, domani, un giorno, per te sarà cambiato qualcosa.
Ho dato un pugno alla porta e un livido sul mignolo mi ricorda che sono viva.
E lo sarò sempre, nonostante te. Nonostante noi, che ci siamo, ma forse non ci saremo mai.


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