sabato 31 agosto 2013

Le grandi svolte

Ultimamente, da queste parti, succedono cose strane. Cose che potrebbero essere catalogate diciamo nella sezione eventi soprannaturali, ecco. Avete presente i nonni di Mister Ade? Come no! Inutili miscredenti che non siete altro! Ve ne ho parlato qui, dannazione. Non fatemi innervosire che poi mi stresso e aumento la possibilità di andare incontro a invecchiamento cellulare precoce, su. Che diamine. Non vorrete mica che l'Ade venga sotto casa vostra urlando che siete gli stronzissimi responsabili delle sue rughe, no? Certo che no. Allora. Senza alcuna apparente motivazione, i suddetti hanno deciso che, all'improvviso, io esisto. Puf. Oh, guarda, Mario! C'è una ragazza vestita di rosso che viene verso di noi con aria poco rassicurante! Oh no Mario, Mario! Che cosa ci succederà adesso?
Si, lo so. Adesso la smetto.
Dicevo. Un giorno Mister Ade torna a casa e, tra una chiacchiera sul calcio mercato e una sulle previsioni del tempo, mi fa:
-Ah comunque siamo invitati alle nozze d'argento dei miei nonni.
Ecco. Immaginate l'Ade che si strozza con un'oliva e strabuzza gli occhi, cercando disperatamente di non morire soffocata prima di poter chiedere un retorico chi?
-Non vorrai dire di no e offendere i nonni...
Opperbacco non sia mai! D'altronde io, che non sono affatto permalosa, non me la sono mica presa per le volte in cui ho dovuto fingere di non conoscerti sull'autobus o camminare a due metri da te quando si passava davanti a casa loro, figurati.
-Ah e si va anche in chiesa.
Ha aggiunto, l'intrepido. Trattenendo un risolino che sapeva benissimo gli sarebbe costato una rotula e un paio di legamenti, ma li valeva tutti.
E niente. Chi conosce l'Ade saprà sicuramente che, per lei, abbigliamento e sobrietà si prendono a calci in culo, ubriachi e biascicando imprecazioni che non ripeterò. Non qui, per lo meno. Dunque poteva succedere solo una cosa. L'unica plausibile.
IL PANICO.
No perché, secondo voi, una che si mette lo smalto di questo colore,

può avere nell'armadio qualcosa di adatto ad una dannatissima serata snob fatta di preghiere, sguardi puntati, domande imbarazzanti e noia mortale?
Saggi, voi. La risposta è cazzo, no. Che domanda da invertebrati preistorici.
Se siete donne, sicuramente sapete come ci si sente quando la testa comincia ad elaborare la frase "non ho una beneamata minchia niente da mettermi".
Se siete uomini, il bagno è in fondo alla scala a sinistra. No. Quella è la destra, santa pazienza.
E niente. Considerando che passerò circa quattro ore a sorridere, annuire e sperare che il mio sguardo non tradisca segni di fastidio (cosa che non sono assolutamente in grado di controllare, mannaggia a me), ho pensato che per lo meno dovrò indossare qualcosa per cui nessuno possa avere niente da ridire.
Dunque niente borchie e orecchini a forma di spermatozoo, purtroppo.
Ciao estro creativo, ciao!
Perciò ho cominciato a documentarmi su queste interessantissime informazioni che dimenticherò nel giro di un paio di settimane:
-Quali colori non si possono indossare in chiesa?
-Quali colori piacciono al nonno snob medio?
-Dovrei farmi sbiancare i denti?
-Dovrei truccarmi un po'? (Dio, che palle.)
-Décolleté o stivaletti corti?
-Giacca o cardigan?
-Jeans o gonna?
-Sghenememme o mariulando?
E niente. Il cervello ha fatto boom e ho deciso che mi darò alla droga.

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venerdì 30 agosto 2013

Le affinità alchemiche


Dunque. Lei scrive indubbiamente bene, bisogna dirlo. Anche se i vari inserimenti di pseudo linguaggio fumettistico/giovanile (gulp, argh, chiamare i genitori "i parents", dai. anche no.) in un contesto completamente diverso non mi sono piaciuti granché. Cioè lei scrive tutto farcito e poi a fine frase mi inserisce un "gulp". Nun se po' vedé, eddai. Detto questo, parliamo della storia. I protagonisti indiscussi sono due diciottenni, Giovanni e Selvaggia, fratelli gemelli i cui genitori incompetenti e snaturati, dopo aver divorziato, hanno deciso che papà avrebbe tenuto il maschio e mamma la femmina. Mi sembra giusto, no? Ecco. E questi in diciotto anni non si sono mai visti, in pratica, e tutto ad un tratto, taaac. Mamma e papà tornano insieme e nella vita del noioso Giovanni arriva Selvaggia, una troietta senza scrupoli, per quanto mi riguarda, e i due s'innamorano PERDUTAMENTE l'uno dell'altra. Ok? Ci siete? Perfetto. Perché, alla fine, è tutto qui. I due mascalzoncelli vivono la loro relazione segreta, copulano allegramente, spendono un sacco di soldi per farsi regali costosi a vicenda (tanto mamy e papy sono ricchi e pure stupidi: non si accorgono che la viziatella ha al dito un enorme anello da ottocento euro. eh.), litigano continuamente (perché Giovannino è uno zerbino e Selvy la selvaggia una rompicoglioni snob? la butto lì, eh?) e pimpiripettenusa pimpiripetteppà.
Il finale NON mi è piaciuto per niente. Mi è sembrato quasi buttato lì come se l'autrice non vedesse l'ora di finire 'sto dannato libro e consegnarlo alla casa editrice che, immediatamente, gliel'ha pubblicato (la tizia ha vent'anni, questo è il suo primo romanzo e io non sono per niente invidiosa. giuro.), donandole anche una coroncina di profumati fiori rosa. Questa me la sono inventata, perché lo sappiate.
Comunque. Il libro mi è piaciuto abbastanza e adesso vado a leggere Vanity Fair che ho bisogno di distrarmi dal pensiero della multa di duecento euro che mi è arrivata stamattina (presa nel 2009 dal mio FOTTUTO, FOTTUTISSIMO EX.).
Vi abbraccio. E se stringo troppo, perdonatemi. È che sono nervosa. Ma voi mi capite, no?

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giovedì 29 agosto 2013

Crocchette di cous cous

 

Essendo vegetariana e creativa e facilmente incline alla noia sono sempre alla ricerca di nuovi spunti per preparare dei secondi gustosi.
Queste crocchette le ho trovate qui. Perché si sappia lei è per me grande fonte d'ispirazione (vedi precendenti ladrate di ricette.)
Queste sono molto buone ma se non amate il sapore dolciastro, l'abbinamento piselli/cous cous probabilmente non fa per voi. Certo se non avete in casa gente che rompe perché se mangia piccante gli brusa il cù, potete spararci dentro valangate di peperoncino e lì sai che figata. Ahimè io non sono così fortunata, al momento.
Comunque. Ecco come prepararle, per gli intrepidi che vorranno provarle.

Ingredienti:
  • 150 gr di piselli surgelati
  • 150 gr di cous cous già pronto
  • 60 gr di pangrattato
  • mezza cipolla
  • due carote
  • una zucchina
  • olio extravergine d'oliva
  • sale
  • spezie (io curcuma, curry e pepe)
Prepararle:

Lessate i piselli e tritate finemente le altre verdure. Cuocetele in una padella con coperchio con un filo d'olio, un pizzico di sale e acqua qb.
Quando piselli e verdure saranno cotti, uniteli al cous cous, aggiungete le spezie e il pangrattato e amalgamate per benino. Formate tante palline, rotolatele nel pangrattato e cuocetele in una padella con poco olio a fuoco medio, girandole una volta (facendo attenzione perché se maneggiate con violenza potrebbero sfaldarsi. io lo so.) e facendole dorare per bene.
Una volta pronte adagiatele su carta da cucina per eliminare l'olio in eccesso e servite. Sono molto buonissime anche fredde.

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martedì 27 agosto 2013

Sono le 8:00

Il primo e il secondo capitolo li trovate rispettivamente QUI e QUI.

Lui riemerge, spossato, dallo stato catatonico che l'ha reso, per svariati minuti, semi incosciente e completamente privo di umanità. Sente un leggero dolore alla tempia sinistra, probabilmente ha sbattuto contro il water cadendo a terra, e si rialza un po' affaticato, appoggiandosi al bordo scheggiato della vasca da bagno. Una goccia di sangue scivola veloce sulla sua guancia e lui la ferma con l'indice, prima che possa finire sulla maglietta. Apre il rubinetto arrugginito, che emette un sonoro "clac", e si lava la ferita finché non smette di sanguinare, poi tira fuori dalla tasca dei pantaloni una boccetta che contiene il suo olio speciale e se lo applica con cura sul taglio, per accelerarne la guarigione.
Con un grugnito di disapprovazione per se stesso, esce dal bagno e si avvia verso il giardino sul retro della casa, il cui terreno fertile gli ha permesso, col tempo e la dedita cura, di creare un piccolo ma ben fornito orticello, e raccoglie con delicatezza un grappolo di pomodorini e una manciata di peperoncini verdi.
Le sue innumerevoli capacità, acquisite per lo più durante il periodo di permanenza sulla strada, gli hanno permesso di costruirsi un rifugio modesto ma soddisfacente e, se non fosse per il male che lo logora dall'interno, lui sarebbe indubbiamente felice della qualità della sua vita, per quanto decisamente poco convenzionale.
Mentre armeggia col piccolo fornelletto a gas per prepararsi la colazione, un timido bussare alla porta attira la sua attenzione e lo costringe a restare in ascolto, abbandonando per un attimo la verdura che sfrigola nel padellino. Si avvia con cautela verso l'ingresso, muovendosi piano per non rischiare di emettere suoni. Chiunque sia, il disturbatore mattiniero là fuori, non sembra avere intenzione di andarsene e la motivazione che lo spinge a picchiare con insistenza sulla porta lo induce, evidentemente, a continuare imperterrito.
Lui appoggia la fronte sulla finestra per tentare di sbirciare tra le assi che la ricoprono ma, mentre cerca di mettere a fuoco qualcosa, un enorme pezzo d'intonaco si stacca dal soffitto e gli finisce dritto in testa, facendolo crollare rovinosamente a terra, di nuovo.
"Papà? Papà?"
Un angelo dalla pelle bianca e i capelli rossicci lo guarda sbattendo le palpebre a mille all'ora.
"Papà?"
Lui cerca di toccarla, di afferrarla con le sue grosse mani dalla pelle spessa, ma non ci arriva. È lontana, lontanissima.
"Papà? Ti prego papà!"
Apre gli occhi. Qualcuno lo scuote lievemente, tenendolo per le spalle. Lui si libera dalla presa in modo brusco e si mette seduto, toccandosi il cranio per constatare i danni. La testa gli fa un male cane e pulsa con prepotenza, cosa che lo costringe a richiudere gli occhi, solo per un po'.
"Senta? Signore sta bene?"
Una voce di ragazza irrompe, roca, fastidiosa e con un accento difficile da definire. Non si tratta dell'angelo che ha visto prima, questo è sicuro, e per un momento lui si chiede se per caso non sia impazzito di colpo.
"Scusi? Mi dispiace io... io ho davvero urgenza di usare un bagno e... voglio dire è per questo che bussavo alla porta prima... insomma senta, le dispiace se... voglio dire... posso usarlo, il bagno? Lei sta bene, sì? Posso lasciarla un secondo?"
Lui continua a massaggiarsi la testa, ancora con gli occhi chiusi, e prega silenziosamente che la rovinatrice di giornate se ne vada. Adesso, subito, all'istante. Ma lei non sembra voler smettere di parlare.
"Ma questo profumo... oddio ma lei stava cucinando!"
Senza chiedere il permesso, la misteriosa figura s'intrufola in cucina e spegne il fuoco sotto la padella. Lui la guarda di sottecchi, ma riesce a inquadrare solo le gambe sottili, coperte da un paio di jeans scuri e leggermente strappati.
"Stavano per bruciarsi, sa? Mmm sembrano deliziosi... potrei... voglio dire... posso assaggiarli? Dio sembra un'eternità che non mangio qualcosa dall'aspetto così invitante..."
Finalmente lui apre gli occhi e la guarda, sperando di risultarle abbastanza glaciale da indurla a fuggire a gambe levate e lasciarlo ai suoi affari, e una ragazza minuta, pallida e spettinata, praticamente una bambina, gli viene da considerare, lo fissa speranzosa. Ma quanti anni avrà?, si domanda mentre le fa cenno con la mano per darle tacito permesso di derubarlo della sua colazione.
"Davvero posso? Oh grazie lei è così gentile... oddio ma prima devo proprio andare in bagno, scusi sa?"
Dice, appoggiando la padella sul tavolo e portandosi le mani al ventre con espressione di disagio.
Lui le indica la direzione del bagno, annuendo stancamente, e, rimasto solo, si alza in piedi, si spolvera i vestiti e beve un sorso d'acqua, tastando con apprensione il grosso bernoccolo lasciato dall'intonaco.
Sbuffa.
Non è affatto così che doveva iniziare, questa giornata.

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sabato 24 agosto 2013

Il mare cura tutte le ferite


Mi dicevano quand'ero bambina. E in effetti credo sia la verità.
Mentre scrivo, sono seduta sotto il gazebo circondato di ulivi e fichi, davanti alla casetta in pietra che io e Mr. Ade abbiamo affittato per due settimane a Sannicola, in provincia di Lecce. Oggi c'è vento e l'aria è fresca, così abbiamo deciso di prenderci una giornata di "pausa" dalle innumerevoli attività che abbiamo in programma, e io mi sono messa a scrivere un po', perché ho intenzione di imprimere sulla carta ogni più piccola sensazione che questo posto mi dà.
Qui, ovunque ci sono immense distese di ulivi, i fichi d'india sembrano crescere spontaneamente in ogni angolo e la terra è davvero rossa, come mi han sempre cantato i Sud Sound System.


Ci sono pietre bianche e grigie sparse un po' dappertutto, che vengono usate per costruire muretti che delimitano strade o territori di campagna e masserie, probabilmente anche per proteggere le proprietà da sguardi indiscreti, o almeno questo è quello che penso io.
Ci sono cani e gatti che girano per i paesi, liberi e presumibilmente senza padrone, che vagano ostentando, con gli sguardi e il passo tronfio, il loro assoluto status di libertà. Li si vede girare tra i tavoli alle sagre di paese, alla ricerca di un pezzo di carne distrattamente caduto dal panino di qualche bambino e, purtroppo, li si vede anche ansimare (di caldo? di fame? di sete?), buttati all'angolo di qualche casa, con gli occhi chiusi e la mente chissà dove. Io, che non ci sono abituata, li guardo con infinita tristezza, anche se, forse, loro davvero stanno bene così.
La gente del posto sembra più socievole e meno fredda, rispetto a noi del nord, proprio come si dice in uno dei vari stereotipi che raccontano, più o meno veridicamente, le "differenze" tra il nord e il sud d'Italia. Anche se non posso nascondere che più di una volta ci è capitato, per lo più in spiaggia dove lo spazio personale era ridotto al minimo, di ascoltare discorsi poco gentili fatti da salentini nei confronti dei milanesi. Sul momento abbiamo pensato "ehi! ma che cazzo di modi!". Poi abbiamo visto il gruppetto di bauscia e fighette poco distante e, in effetti, come dar loro pienamente torto?
Una sera, mentre cercavamo parcheggio a Montesardo per andare a una sagra, una signora, che portava in mano un vassoio colmo di chissà quale specialità preparata per l'occasione, ci ha fermati e ci ha proposto di lasciare l'auto davanti al cancello di casa sua, così da lasciar libero il posteggio che avevamo trovato poco più in là, per qualche altro avventore. "Tanto mio marito prima di mezzanotte non torna", ci ha detto con un sorriso. E noi per un attimo ci siamo ritrovati a chiederci se per caso non volesse dei soldi, da bravi milanesi che ben sanno che pochi dalle nostre parti lascerebbero il PROPRIO cancello a disposizione di due turisti sconosciuti per del tempo indefinito.
La cosa più buffa che mi è successa è stata quando, parlando di una grigliata di carne e pesce con il proprietario dell'agriturismo in cui alloggiamo, ho confessato di essere vegetariana. In genere un milanese, dopo la mia dichiarazione, o alza le spalle o comincia a preoccuparsi, con aria da esperto del settore, dei miei esami del sangue. Il poveretto, invece, ha fatto quattro lunghi passi indietro, ha spalancato gli occhi e con una smorfia di terrore in viso ha detto "ah", guardandomi come si guarderebbe un ufo appena atterrato in giardino. La sua paura mi ha quasi fatto sentire in colpa, per un attimo. Poi ho riso. E ho pensato che, probabilmente, potendo mi avrebbe trascinata per le strade, tenendomi per i capelli e urlando all'eretica e poi mi avrebbe bruciato in piazza come facevano con Caremma, a Gallipoli.


Mr. Ade dice che qui non esistono vegetariani. Io dico che qualcuno invece c'è, sì. Ma non si fa vedere. Forse escono solo di notte, chissà.
Di giorno, quando il sole scotta in un modo che quasi non credevo possibile, in giro non c'è anima viva, i negozi chiudono per il pranzo e riaprono dopo le cinque, per poi chiudere verso le nove o le dieci. Di sera, per contro, i piccoli centri si animano e tutti escono di casa, i ristoranti si riempiono quando noi a Milano abbiamo già mangiato da un pezzo, le famiglie e gli anziani si siedono fuori dalla propria casa, probabilmente per godersi un po' di dolce vento serale, e le vie sono puntellate di sedie davanti a ogni porta e le chiacchiere dei conoscenti risuonano allegre tra i vecchi muri dei borghi.
Nelle città più turistiche, come Gallipoli e Santa Maria di Leuca, i ragazzi, turisti e non, si riversano sulle strade e nei locali, ballano e bevono fino all'alba quando noi, gente vecchia dentro, ci alziamo per andare in spiaggia a goderci la poca solitudine che abbiamo, prima che la folla cominci ad intasare ogni millimetro di spazio. Ovunque, persino sulla sabbia, ci sono bottiglie, bicchieri, cartoncini di inviti ad eventi e sigarette spente, inequivocabili segni del passaggio barcollante di giovani che non si faranno vedere al mare prima delle quattro, quando i "pierre" cominciano a passare tra gli asciugamani a rilasciare inviti per la serata successiva. Ma gli artefici di tale degrado non sono certo solo i ragazzi che si divertono la notte, bensì anche i rispettabili gruppetti di famiglie e amici che sono indiscutibilmente convinti che la sabbia inghiotta ogni cosa, persino gli incarti dei ghiaccioli.
Personalmente inorridisco al pensiero di certi barbari che abbandonano qualsiasi genere di rifiuto, infischiandosene completamente. Fosse per me, ficcherei nelle loro bocche ogni cicca e cartaccia che lasciano in giro e gliele farei masticare, schiaffeggiandoli. Non so se ho reso l'idea.
Come si fa a mollare schifezze in posti del genere?

Baia di Porto Selvaggio

Padula Bianca
No, spiegatemelo. Perché io proprio non capisco.

Mentre scrivo, adesso, sono seduta alla mia scrivania. Rientrata in patria dopo dodici ore di viaggio, emozionata ma grata che sia tutto finito.
Insomma, l'Ade è tornata. Gioite, miei cari. Gioite.

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venerdì 9 agosto 2013

Sono le 7:00

Il primo capitolo, lo trovate QUI.


Afferrando le forbici, la mano gli trema leggermente. Senza trattenersi ad osservare la sua immagine riflessa nello specchio, lui comincia a tagliare grossi ciuffi di barba, che lascia cadere sul pavimento con apparente noncuranza. A guardarlo, con quegli occhi sgranati ma perfettamente concentrati nel seguire la traiettoria delle lame, potrebbe quasi sembrare un uomo la cui mente non partorisce alcun altro pensiero, all'infuori di questo. In realtà, ad attraversarla c'è un impetuoso torrente di parole che non lo abbandonano mai, nemmeno in quella che dovrebbe essere la quiete del sonno.
Quiete, come lo sente distante, questo termine ormai semisconosciuto! Nemmeno gli imminenti risvolti di questa giornata così importante, ne è sicuro, potranno ricordargli il significato dello splendido, meraviglioso stato di assoluta quiete interiore. Ma, in fondo, non è certo questo lo scopo delle sue future azioni.
Appoggia le forbici, che emettono un tonfo metallico contro la ceramica ruvida del lavandino.
"E allora, qual è il mio scopo?"
Si lascia sfuggire, un pensiero flebile, che immediatamente viene sovrastato dalla più ovvia delle risposte, nonché la più risoluta.
"Lei. È lei il tuo scopo, non l'avrai dimenticato, dì?"
Afferra il sapone e se lo strofina nervosamente sui rimasugli di barba, che poi elimina con una lametta, tagliandosi un po'. Si sciacqua il viso e si sofferma a contemplare i suoi lunghi capelli, pettinandoli svogliatamente con le dita, indeciso se eliminare anch'essi oppure no. Alla fine, decide di tagliare qualche centimetro di troppo e, una volta fatto, se li tira indietro, fissandoli alla bell'e meglio con un'ampia fascia blu, trovata qualche giorno fa in mezzo all'erba alta del giardino che circonda questo rudere di casa, che potrebbe ormai quasi definire sua, nonostante sia renitente a farlo.
Si lascia distrarre, per qualche istante, dal nuovo aspetto che gli appare davanti e si ritrova a squadrare con attenzione quei lineamenti duri e severi, di cui non ricorda affatto la presenza sul volto dell'uomo che è stato, dieci anni fa.
"Dieci anni. Sono trascorsi dieci anni."
Ma dieci anni sono briciole, per un cuore devastato. Null'altro che briciole. Nemmeno una vita, probabilmente nemmeno la morte, basterebbe a cancellare un dolore così pungente.
"Nemmeno lei sarà in grado di annientarlo..."
Di nuovo un pensiero sommesso, ancora una volta sovrastato da un'insolente risposta.
"La tua bramosìa sarà soddisfatta, è o non è questo ciò che vuoi? La pace, caro mio, la pace puoi pure scordartela."
Dal più profondo antro del suo essere, ecco che si fa strada un grido. Cupo, strozzato, terribile. E lui non può, non vuole fermarlo.
Oggi è il giorno.
Dannazione, non sarai arrivato fin qui per ignorarlo, voglio sperare.

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giovedì 8 agosto 2013

Storia di un corpo


Certo, se vi aspettate un altro Signor Malaussene, che diamine, chiaro che rimarrete delusi. L'ho sempre detto io che le aspettative vanno eliminate, dissanguate e poi sepolte nel cemento fresco. In troppi mi hanno detto "mah. mica mi è piaciuto, l'ultimo di Pennac.". Ma io non mi sono lasciata scoraggiare. In effetti ci ho messo un po' di tempo a leggerlo, mentre la saga Malaussene me la sono divorata in poche settimane. Ma va bene così, per me. Perché questa è la storia di un corpo, sì. Ma anche di una vita. E non si può mica pretendere di leggere la storia di una vita in poco tempo, no? Me lo sono goduto, questo romanzo. In apnea tra le parole del buon Pennac, estasiata da quel suo modo speciale di narrare, sono entrata nel corpo di questo bambino di dodici anni e l'ho osservato diventare ragazzo, uomo e infine vecchio. E la cosa più bella di tutto questo è che non ho visto le sue emozioni, no. Ma i cambiamenti del suo corpo, i muscoli in crescita, le sensazioni corporee, gli orgasmi, le malattie, le sofferenze psicologiche nelle loro manifestazioni più fisiche, la vecchiaia, la morte. Ed è stato un viaggio bellissimo.
Mi è piaciuto tantissimo. Grazie, Daniel.

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venerdì 2 agosto 2013

Sono le 6:00

Un debole sole filtra dalla tapparella chiusa e lui apre gli occhi. Rimane immobile svariati minuti, le braccia dritte e rigide lungo i fianchi, le gambe leggermente divaricate, lo sguardo rivolto al soffitto e la mente impegnata a contare ogni battito di ciglia, l'unico movimento corporeo che non è in grado di controllare.
Oggi è il giorno.
Ma lui non si sente agitato, non ha nessuna paura. Tutto ciò che vuole è percepire questa giornata nella sua assoluta completezza, carpire ogni secondo, afferrare ogni minuto, legare a sé ogni ora e dimenticare tutto il resto, che non serve più.
Sono le 6:07.
Novantuno battiti di ciglia e il telefono comincia a squillare. Lui solleva la cornetta, se la porta all'orecchio e resta in attesa. Dall'altra parte, un respiro smorzato e due parole.
-Sei pronto?
Non risponde e mette giù. Oggi non si parla, questo è deciso. E lui non ha mai infranto una regola da lui stesso imposta.
Quando, otto anni fa, decise che non avrebbe mai più toccato un alcolico, l'aveva fatto, senza nessun ripensamento, nonostante non abbia mai potuto nascondere quanta fatica gli sia costato.
Quando, sette anni fa, decise che non avrebbe più rivisto i suoi genitori, sì allontanò con convizione da loro e nessuna lacrima o vago senso di colpa l'aveva mai scosso in alcun modo.
Quando, sei anni fa, decise che non avrebbe avuto più niente a che fare con la donna che aveva sposato, se n'era andato e nessuna sensazione di vuoto nell'anima o mancanza di contatto l'aveva mai indotto a pensare che avrebbe potuto tornare sui suoi passi.
Quando, cinque anni fa, decise che all'alba di ogni mattina avrebbe corso per quarantacinque minuti e avrebbe lavorato incessantemente sui suoi muscoli in modo da portare il corpo a raggiungere la forma e la forza necessaria ai suoi scopi, l'aveva fatto e nessun impegno o malessere l'aveva mai persuaso a rinunciare.
Quando, quattro anni fa, decise che non gli importava di lavorare, aveva mollato e mai i morsi della fame o il bisogno di soddisfare qualche inutile desiderio l'aveva convinto che così non avrebbe potuto funzionare.
Quando, tre anni fa, decise che non aveva bisogno di una casa e che avrebbe potuto benissimo vivere in strada, nessun brivido di freddo e nessuna ferita l'avevano mai convinto del contrario.
Quando, due anni fa, aveva conosciuto lei, si era lasciato sedurre, l'aveva accettata e aveva deciso di donarle ogni centimetro del suo corpo e ogni sfaccettatura del suo cuore e nessun impulso o provocazione l'aveva mai distolto dal suo obiettivo.
Quando, un anno fa, decisero insieme che oggi sarebbe stato il giorno, la sua vita aveva finalmente iniziato a svolgersi in funzione di tale decisione, e niente e nessuno l'aveva finora scostato dalla convinzione che fosse cosa buona e giusta.
Sono le 6:21.
Il telefono squilla e lui si porta la cornetta all'orecchio, in silenzio. L'unico rumore percepibile è il ticchettio delle gocce d'acqua che, arrivando da chissà dove, s'infrangono sulle pareti ormai logore delle vecchie tubature di questa casa un tempo abbandonata a sé stessa.
-Sei pronto?
Due parole, a rovinare un istante così perfetto di silenzio contemplativo.
"Sono pronto", pensa lui. Ma non lo dice, e mette giù.

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giovedì 1 agosto 2013

Sono qui per scrivere

E questo è innegabile.
Quando sono arrivata, non sapevo dove dovevo andare.
Non sapevo dove volevo andare.
Non sapevo niente.
È passato del tempo, poco in effetti. Ma a volte basta quel poco a dare risposte a domande che avevi quasi dimenticato di avere lì, pronte per essere utilizzate.
Chi sei? Dove vai? E perché?
Ciao sono Ade, ho venticinque anni, mi piace scrivere e sono brava a farlo però quando lo faccio rileggo millemila volte perché sono una cacchio di perfezionista e se tu mi dici che non è così, beh puoi anche andare a saltellare su una mina.
No, non è vero. Non sono così dannatamente narcisa da non saper apprezzare una critica, e se voi ormai un po' mi conoscete, probabilmente lo sapete già.
Comunque.
Non ho mai amato parlare di me, ma voi mi avete insegnato a farlo. Non so come, non chiedetemi perché.
Adesso però non ho voglia di parlare. Adesso voglio scrivere. Perché, a parte le stronzate da portatrice di spada affilata, non ho più paura di non essere apprezzata.
Non me ne frega una cippa, per la verità.
E allora ho deciso una cosa.
Una cosa che avrei dovuto decidere prima, lo so.
Ma non tutte le cose possono essere decise e messe a punto. Alcune hanno bisogno di qualcosa in più. Un'ispirazione, diciamo.
E oggi è arrivata.
Ha bussato, toc toc.
Non so quando, forse stavo facendo gli addominali, forse colazione, forse la cacca. Chissà.
Ma è arrivata. E io l'ho presa, le ho dato due sberle e le ho detto che, adesso che è mia, avrei fatto di lei ciò che più mi aggrada e mi compiace. E ho cominciato a scrivere, per voi.
Se la cosa vi piace, beh. Domani, da queste parti, il primo capitolo.
Questo è.

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