lunedì 23 dicembre 2013

Quando tuo padre si rompe una gamba

Tutto può diventare difficile e cristoddio.
Per cercare di riassumervi la pappardella in poche righe e senza farmi venire un'ischemia cerebrale, vi dirò questo: mio padre (aka Il Disturbatore, e il fatto che io gli abbia affibbiato codesto soprannome dovrebbe già essere un indizio per voi affezionati lettori) da circa otto mesi e per motivazioni che non ho nessuna voglia di spiegare perché per oggi di rotture di coglioni ne ho avute già abbastanza, vive a casa con me e Mr. Ade. Che scenetta felice, eh?
Se al miscuglio di scassamenti di cazzo, ci aggiungiamo che ci lavoro insieme (io e lui, lui ed io. la gioia della mia vita, proprio.) e che andiamo d'accordo per circa un quarto d'ora al giorno, poi ci urliamo dietro come nemmeno nella puntata più triste di Uomini e Donne, forse comincio a rendere l'idea.
Insomma. Circa un mese e mezzo fa, splat. Il mio caro papino (e smettetela di immaginarvelo come un adorabile vecchietto, perché non lo è. vi dico solo che porta i capelli biondi. e ci siamo spiegati.) ha ben deciso di spiattellarsi sull'asfalto con lo scooter e di rompersi una gamba. E qui ci ricolleghiamo all'allegro titolo di questo post. Ora, se anche non siete dei geni della matematica, l'operazione è piuttosto facile:
PADRE AKA IL DISTURBATORE + ADE + 24 ORE SU 24 INSIEME + GAMBA ROTTA = ?
Davvero volete che ve lo dica io? Non pensate che abbia già raggiunto il limite massimo di imprecazioni in queste sedici righe?
E niente. Tutto questo per giustificare la mia apatia, la mia totale assenza di stimoli, la mia assoluta non-voglia di scrivere, i miei tic nervosi, la diarrea a spruzzo e tutto il resto (sì, sto esagerando come al solito. mi spiace. in realtà no.). Il punto è che sono pervasa da un odio tale, che non sono più in grado di afferrarlo, spingerlo e incanalarlo nella direzione giusta, ovvero quella che mi permette di piazzare le mie stronzate qui, e farvi fare due risate. Inoltre non ho nemmeno più il tempo materiale per smollare il culo davanti al pc, un po' perché sono ESAUSTA, un po' perché ho SEMPRE qualcuno in mezzo alle palle. Cosa che, voi lo sapete, mi manda assolutamente FUORI DI TESTA. Come scopare in silenzio, per dirne un'altra.
E basta.
Buon natale, eh?
Stigrancazziproprio.

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martedì 10 dicembre 2013

L'armadio dei regali

In linea di massima, il natale non mi fa nessun effetto, se non una breve ma intensa orticaria vaginale.
Vi sono mancata, vero?
Se penso alle luci colorate e al conseguente spreco di energia, agli addobbi pacchiani che nessuna persona sana di mente si sognerebbe di appendere in casa sua se non a natale (ma a natale, si sa, siamo tutti più buoni e più idioti, no?), al flusso incontenibile di gente che si riversa nei negozi e nei centri commerciali alla disperata ricerca del regalo perfetto per il cugino di quinto grado di cui a malapena ricorda il nome ma, vuoi presentarti senza un regalo? Dico sei fuori? È natale! Il periodo ideale per far sfoggio di tutto ciò che durante il resto dell'anno non ci si può permettere! E poi, scusate, gli strozzini le finanziarie a cosa servirebbero, altrimenti?, e, per finire in bellezza, ai vari film dai titoli improponibili tipo "Santa Klauss esiste ed è sfizzero" che ci vengono propinati ad ogni ora del giorno, ecco. Mi viene voglia di infilarmi la tuta di latex nero e girare per la città con una vanga sporca del sangue di un folletto e distruggere OGNI COSA.
Ma forse sono io che sono cinica, eh?
Comunque, dicevo. In linea di massima il natale non mi crea nessun problema.
E adesso parliamo d'altro. Leggendo un post della Poison mi è comparso davanti agli occhi un ricordo divertente di cui, chissà poi perché, ho voglia di parlare.
Quando avevo un nonno, il natale aveva tutto un altro sapore. Perché lui era così buffo, che non potevo che amare il momento in cui ci saremmo ritrovati tutti seduti allo stesso tavolo, ad aspettare con trepidazione che lui tirasse fuori i suoi regali per noi. Già. Perché il nonno aveva un concetto tutto suo, riguardo ai regali. Me lo immaginavo, in piedi davanti al suo armadio, che tirava fuori ogni più inutile oggetto trovato nei giornali o chissà poi dove diamine li trovava e, con cura e dedizione, ne destinava uno ad ogni membro della famiglia, incartandoli con la carta dei regali ricevuti l'anno precedente. Più volte ho sbirciato dentro quell'armadio, per vedere se riuscivo a indovinare a chi sarebbe andato lo sbucciamela e a chi l'arrotola-cravatte...
Al mio diciottesimo compleanno, per dirne una, mi regalò una scatolina rosa a fiori con dentro un tagliaunghie rosa a fiori, un lucidalabbra rosa a fiori e una pinzetta per le sopracciglia rosa a fiori. Le grasse risate che mi facevo, erano impagabili. Così come gli abbracci, alla fine di tutto. Ed io che a malapena riuscivo a ricambiarne uno, da stronza frigida quale ero e sono. Ma questa è un'altra storia.
Insomma, per rendere la cosa più divertente, anche noi avevamo cominciato a regalargli cose stupide. E lui, che non si esimeva mai dal dire ciò che pensava, si incazzava sempre e faceva il burbero. Poi si addormentava, con i gomiti sul tavolo e la bocca aperta. ♥
E adesso scusate, ma ho un gatto da seppellire.
Non è vero, sto solo dormendo. Ma mamma Ade è idiota, e voi questo già lo sapete.

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lunedì 18 novembre 2013

Cosa vuoi

Per il tuo compleanno?

Essere lasciata in pace. È una cosa che si può avere, sì?

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martedì 12 novembre 2013

Non sono il tipo

"Di persona a cui piace raccontare buffonate per non rischiare di essere in
cattiva luce, arruffianarmi le persone che conosco da un minuto non mi è gradito, declino il vostro invito se siete gente che organizza tutto e subito come se ci conoscessimo da un secolo, non sono il tipo che finge di essere tuo amico, che di ogni cosa fa uno spreco e di ciò che resta ne fa un mito...

Non sono il tipo di persona che magari ti aspettavi, non sono il tipo di ragazzo che
cercavi, non sono il tipo che dà il massimo per essere di troppo, non sono il tipo...

Non sono il tipo di persona che non si dà limiti, per convincerti riguardati i miei punti critici, non sono quello buono per l'esperimento che vuoi tentare, dato che ho l'abitudine di conservare pregi e difetti che regalo ad ogni buon amico, lo vedi, non sono il tipo."
Bassi Maestro - Il tipo di persona (1997)

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domenica 10 novembre 2013

Tanto tempo fa

Se mi fossi trovata in una condizione simile a quella in cui mi trovo adesso, probabilmente sarei andata nel panico. Avrei pianto. E urlato. E chiesto alla vita o a Dio o a non so chi il perché. Cosa ho fatto di male, io? Sono una persona così terribile, io? Me lo merito per davvero, io? Poi avrei preso la bottiglia di sambuca e mi sarei chiusa nel mio angolino della tristezza. Bestemmiando contro una vita che fa schifo. Imprecando contro gli eventi che, ancora una volta, mi stavano sbattendo a terra. Avrei versato ogni lacrima possibile e, quando la stanchezza avrebbe preso il sopravvento, mi sarei addormentata. Sperando che la notte mi donasse un sogno migliore. Qualcosa in cui sperare. Qualcosa in cui credere.
Non lo so, precisamente, quand'è che ho smesso di essere quella persona.
Forse quando è nato il primo dei miei fratelli e ho dovuto prendermi cura di lui.
Forse quando ho lasciato mia madre e le ho detto che non potevo più prendermi cura di lei.
Forse quando ho capito che farsi del male non era la strada migliore.
Forse quando ho capito che nella vita sei tu che ti aiuti, e nessun altro. E se rinunci ad aiutarti tu, allora puoi anche mandare tutto a fanculo e lanciarti da un ponte. O vivere con una bottiglia in mano, fino a quando non saprai più chi sei, i tuoi denti marciranno, il tuo sangue puzzerà come una distilleria e un bel giorno, splat, il tuo fegato imploderà e ciao ciao.
Non voglio essere abbracciata. E se piango, succede per cinque minuti, perché il mio subconscio mi risbatte subito sulla retta via, a calci nel culo. Ho sempre trovato una soluzione, spesso quella sbagliata, certo. Ma pur sempre una soluzione. E se, adesso, sono in mezzo a tutto questo, è perché mi devo svegliare.
Svegliati, bambina. Essere buoni non porta a niente.
Non chiamarmi bambina, o ti faccio ingoiare la lingua, maledetta vocina del cazzo.

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mercoledì 6 novembre 2013

Vorrei chiudere gli occhi

E risvegliarmi in un'altra vita.
Potrei essere Alice, figlia di un ricco commerciante, uno di quelli che non si capisce mai che lavoro facciano. Avrei diciott'anni, magari. Sarei alta, magra e dall'aspetto piacevole. Porterei i capelli seguendo la moda del momento, spendendo per la mia immagine soldi che non mi appartengono ma di cui non conosco e non m'importerebbe conoscere il valore. Indosserei capi firmati, e giacche fatte di pelle di animali ignari, e sarei così superficiale, che nulla potrebbe turbare la mia quiete d'animo o scalfirmi in qualche modo, a parte un'unghia spezzata, ovvio.
Mia madre, Susanna, sarebbe una donna dal poco talento e dalla pelle tirata a dovere. Le sue massime aspirazioni, trasmesse sapientemente a me, sarebbero di così scarso interesse da non esser degne nemmeno di nomina.
L'importanza dell'apparire, mi accompagnerebbe fin dai tempi in cui ero bambina, ed io, ridacchiando ogni mattina di fronte allo specchio, pizzicandomi una coscia scheletrica per controllare l'assenza di cellulite, mi sentirei profondamente grata per essere una noiosa snob del cazzo, ma con due tette così.
Certo, potrei finire per sposare un vecchio ricco e disidratato che, invece di morire nel giro di un paio d'anni, mi venderebbe a una setta di ex stilisti di moda scadente, che sfogherebbero su di me le frustrazioni sessuali del caso. Il bastardo, poi, camperebbe più di me, che morirei giovane, per overdose precoce da silicone. 
Sì. Basta guardare le cose da altre prospettive, per provare a convincersi che, forse, non sempre è bene chiudere gli occhi. Anche quando le palpebre son così pesanti che vorresti solo dormire all'infinito, per non pensarci più.
Ma si può, non pensare? Non lo so, ma adesso ci penso.

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domenica 3 novembre 2013

Polpettone di lenticchie in salsa di porri


Ohibò, belli miei. Eccomi di nuovo qui a snellire il reparto bozze. In questa Domenica che pareva uggiosa e invece, perbacco, è uscito il sole!, la vostra beniamina Ade Swanzikella (che non è affatto imbecille e non si impegna mai scrupolosamente ad iniziare un post senza scrivere boiate.), dopo aver passato l'aspirapolvere, fatto due lavatrici, steso, pulito il frigo e giocato ai sims, si è messa a cucinare il mondo intero. Ma, ahimè, a voi miei cari, al momento non è dato sapere cosa. Perché adesso vi tocca il polpettone. E, siccome sono una persona precisa e metodica, se in programma c'era il polpettone, polpettone deve essere. E sia.
Perché lo sappiate, questo non doveva affatto essere un polpettone. La ricetta originale prevedeva che uscissero dei dannatissimi burger. Cosa che, vi sarà chiara, non è accaduta. Ma, dato che l'Ade c'ha l'intelligenza e la caparbietà, quando ha visto che il primo pseudo-burger si liquefaceva in padella, ha ficcato tutto in forno e, sorpresa! Il polpettone. E adesso basta con le chiacchiere, santa pazienza. Ai fornelli!

Ingredienti per il polpettone che doveva essere un burger:

  • 250 grammi di lenticchie cotte
  • mezzo cucchiaino di curry
  • 2 cucchiai di olio extravergine d'oliva
  • 2/3 cucchiai di farina di mais
  • sale
  • pepe
  • un frullatore (che se non ce l'avete beh, provateci a schiacciare tutto con la forchetta per 45 minuti abbondanti....)
Ingredienti per la salsa di porri:

  • un porro (chevvelodicoaffare)
  • olio extravergine
  • sale
  • sgnac
Preparazione:

Dunque. Frullate tutti gli ingredienti  fino ad ottenere un composto denso ma non troppo (ora vi spiegate perché non mi sono venuti i burger?), foderate uno stampo da plum cake con carta da forno e infornate il tutto a 200° per 35/40 minuti. Fate la prova stecchino, comunque. Nel frattempo affettate il porro sottilmente e cuocetelo in un filo d'olio finché si ammorbidisce per bene. Frullate anche il porro. Tagliate il polpettone a fettine, copritelo con la salsa e servite.
Allora. Perché lo sappiate, il giorno dopo è ANCORA PIU' BUONO. Lo scaldate in padella, con appena un filino di olio, a fuoco vivo finché fa la crosticina....
E adesso vado a magnà. Che son le tre e c'ho anche fame, eh?


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sabato 2 novembre 2013

L'Ade sopporta poco.

Anzi, più verosimilmente, l'Ade non sopporta proprio.
In particolare quelle persone che si svegliano la mattina e hanno subito voglia di parlare. PARLARE PARLARE PARLARE. Non importa di cosa. Loro parlano. E se non parlano, borbottano. E se non borbottano, mugugnano. E se non mugugnano, fischiettano. E se non fischiettano, canticchiano. E se non canticchiano, tamburellano con le dita. E se non tamburellano, cristoddio.
L'Ade non sopporta quelle persone che guidano come pazze perché "tanto ho la patente da trent'anni".
Quelle persone che "buono il risotto, però io ci avrei messo una noce di burro", "buona la pasta, però io avrei messo meno pomodoro", "buona la torta, però io..." adesso ti lancio una padella in faccia.
Quelle persone che "sì, sei stata brava, ma io avrei fatto meglio".
Quelle persone che non dicono mai cosa vogliono, perché si aspettano che tu lo capisca e basta.
Quelle persone che "no, non voglio il regalo", ma poi si offendono se non glielo fai.
Quelle persone che DEVONO commentare qualsiasi cosa vedano, perché loro, poverine, se fanno silenzio per cinque minuti, vanno in crisi depressiva esistenziale.
Quelle persone che "io alla tua età già lo sapevo fare...".
Quelle persone che non importa cosa tu stia facendo, se devono raccontarti qualcosa che per loro è estremamente importante (che in genere sta all'ultimo posto, nella scala dell'importanza. cose tipo "sai che ho bucato i calzini", per intenderci.), ti interrompono. E se, per caso, ti permetti di esprimere del fastidio, la stronza sei irrimediabilmente tu.
Quelle persone che non capiscono che se porti le cuffie, probabilmente stai ascoltando la musica. Quindi chiamarti continuamente per dirti "guarda che buca lì a destra", "guarda, quella macchina ha un faro bruciato", "guarda, laggiù c'è un fenicottero", in genere non è una buona idea. Perché tu sei costretta a toglierti un minuto sì e uno no quelle dannate cuffie, cosa che, fin dai tempi dei Backstreet Boys, tira fuori il serial killer che c'è in te.
Quelle persone che mandano messaggi col cellulare mentre guidano e se poi tu vedi che non frenano al semaforo e urli "frena, puttanatroia", ti rispondono che avevano visto e che avrebbero frenato per tempo, sei tu che sei una malfidente rincoglionita e comunque loro hanno la patente da trent'anni, dunque non sbagliano mai.
Quelle persone che sono convinte di non sbagliare mai.
Quelle persone che ti parlano mentre stai guardando un film, e se tu chiedi loro di fare silenzio, o si offendono o, per ripicca (perché dovete sapere che questo tipo di persone generalmente sono anche piuttosto infantili), parlano a voce ancora più alta, oppure si mettono a fare rumore, fingendo di dover fare qualcosa di estrema urgenza.
Quelle persone che si credono simpatiche, ma in realtà sono solo fastidiose.
Quelle persone che parlano a chiunque dei loro problemi, ingigantendoli sempre un po', perché la pietà per loro non è mai abbastanza.
Quelle persone che si comportano sempre e comunque in modo tale che il prossimo si trovi costretto a compatirle.
Quelle persone che hanno sempre da ridire su tutto, se non è stato fatto da loro.
Quelle persone che se al secondo squillo non rispondi al telefono, si può sapere dove cazzo lo tieni?
Quelle persone che se tu dici loro di fare una cosa in un modo, loro la fanno in un altro. Non importa quanto corretto fosse il modo che avevi detto tu, loro non possono permettersi di ammettere che, a volte, anche il resto del mondo può aver ragione.
Quelle persone che "no, non si fa così, perché io non lo faccio così."
Quelle persone che ridono alle loro battute. Non riuscendo a capacitarsi del perché gli altri, invece, no.

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lunedì 28 ottobre 2013

Okra saltati in padella



Tempo fa ho acquistato nella mia cascina preferita questa verdura particolare che non avevo mai assaggiato. È una verdura tipica dell'Africa, dove è chiamata gombo, ma si trova in commercio anche col nome di okra, quiabo e bamiya, a seconda del paese in cui la trovate. Eh, che blogger seria e affidabile? Pure le informazioni utili, vi do. Sì, ho finito.
Dunque, i miei amati cascinari hanno iniziato a coltivarla ed io, che sono curiosa di natura (soprattutto quando si parla di cibo), ho voluto immediatamente provarla e mi sono messa alla ricerca di ricette per cucinarla.
Ciò che ho trovato, ahimè, mi ha disgustata parecchio. Già. Perché pare che questa verdura, se tagliata e cucinata nel modo sbagliato, diventi una roba abominevole, in quanto lascia fuoriuscire un blob schifosino come quelli in cui pucciavamo le mani da piccoli. Sì, dai, non ve lo ricordate? Quel vasetto che si comprava in edicola, con dentro una poltiglia gialla dall'utilità indefinita ma perfetta per essere spiaccicata nei capelli del prossimo.
Insomma. Non ricordo precisamente tutto ciò che ho trovato, ma ricordo che quasi ovunque si diceva che le modalità per evitare che il blob apparisse nella mia cucina erano tutte dispendiose di tempo che io non avevo voglia di sprecare (tipo immergere la roba nell'aceto per ore e cose così). Allora, demoralizzata, ho quasi ceduto all'ira funesta, rischiando di tornare in cascina per vendicarmi saltando sulle lattughe e imprecando in croato. Però la zen che vive nascosta in me alla fine ha avuto la meglio, così ho continuato a cercare, invocando la santa pazienza, e finalmente da qualche parte ho letto che, tagliando l'okra con un'incisione verticale, togliendo il picciuolo senza intaccare i semi e facendola saltare in padella a fuoco vivo, la cosa poteva essere fattibile. E anche stavolta, esaurimento nervoso scampato. Fiù!
Dunque ecco come vi si presenta questa verdura:


 Ingredienti per questa ricetta:
  • okra quanto vi pare
  • pomodorini idem come sopra
  • sale
  • olio extravergine d'oliva
  • aglio
Preparazione:

Lavate accuratamente l'okra, eliminate il picciuolo e tagliatela verticalmente, dividendola a metà. In una padella antiaderente rosolate l'olio con un paio di spicchi d'aglio, unite la verdura e fatela abbrustolire per qualche minuto a fuoco vivo. Aggiungete i pomodorini tagliuzzati, il sale e coprite. Lasciate cuocere a fuoco medio per 10/15 minuti. Servite caldo. Facile, no?
Ecco come me lo sono magnato io: con fiori di zucca pastellati e un'insalata di cicorino e pomodorini.
Buonissimo. Ah. Non so dirvi che sapore abbia questa verdura. Però è buona, dal sapore delicato. Un ottimo contorno, per quanto mi riguarda.



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venerdì 25 ottobre 2013

Veg tiramisù alle mandorle


Non è ADORABILE?
Io non amo i dolci come il tiramisù, che dopo due cucchiaini mi sembra di aver mangiato mezzo chilo di banane fritte. Però Mr. Ade lo adora, ed io questa volta ho voluto prepararglielo in versione vegan, ispirata dalla crema di mandorle che ho trovato in questo adorabile sito.
Beh, è ovvio che NON è tiramisù. Mica son qui per raccontarvele. È un dolce molto buono e leggero, che è piaciuto a tutti quelli che lo hanno assaggiato (siccome sono egocentrica, quando faccio le cose fighe le porto in giro e obbligo gente sconosciuta ad assaggiarle, chiaro). Però so che ci sono parecchie ricette per ricreare il tiramisù in versione veg più assomigliante alla versione con mascarpone e uova, per quanto riguarda il sapore. Cercatevele, che me frega a me. Sappiate che questo, beh, sa di mandorle. Chevvelodicoaffare.

Ingredienti per la crema: (con queste dosi vi viene una teglia da otto)

  • 1 litro di latte di mandorle
  • sei cucchiai di malto di mais (o orzo o riso, come ve pare)
  • quattro cucchiai di farina di riso
  • due cucchiai di fecola di patate

Ingredienti per l'assemblaggio:
  • savoiardi veg (si trovano, state sereni)
  • caffè
  • cacao amaro
  • qualche mandorla
Preparazione:

Per la crema: in una ciotola unite la farina di riso e la fecola e preparate una pastella aggiungendo poco latte.
Scaldate il resto del latte con il malto e unitelo alla pastella, mescolando per evitare i grumi. Rimettete il tutto sul fuoco continuando a mescolare finché non raggiunge la densità desiderata.
Fate raffreddare completamente.
Una volta pronta, cominciate l'assemblaggio in una teglia:
-un po' di crema
-savoiardi pucciati nel caffè
-altra crema
-cacao
e via così finché non avrete finito la crema.
Sullo strato finale, cosparso di cacao, sfilettate qualche mandorla, che fa molto "sonofigafacciopureledecorazioni". Mettete in frigo, pazientate qualche ora (secondo me fareste bene ad aspettare almeno un giorno, come per il tiramisù classico. perché i biscotti si devono ammorbidire dibbè) ed è pronto per essere magnato.


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giovedì 24 ottobre 2013

Iniziare bene la giornata


 

E niente. Vorrei donare un enorme e fradicio vaffanculo al meteo di canale cinque. Poi non si dica che non sono una persona buona e caritatevole.


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mercoledì 23 ottobre 2013

Sfoglia dolce super rapida


Ciao belli miei.
Come al solito, ho il reparto bozze sfondato di post in attesa di essere pubblicati. E sono praticamente tutte ricette. Già. Questo accade perché io sono pigra e svogliata, ma anche perché sono costantemente OBERATA di cose da fare che poi alla fine non faccio ma questa è un'altra storia. Come ad esempio finire il mio secondo romanzo. Cosa che non riesco a fare perché ogni volta che mi metto al computer e apro il file, mi ritrovo a fissare la pagina con la bocca aperta e sbavando (no, questo non è vero, ma sapete quanto io ami fare teatro).
Comunque. Siccome so per certo che voi tutti state aspettando con ansia che io ricominci a pubblicare le mie strepitose ricette, che vi sentite quasi morire, proprio, quando pensate a tale mancanza, eccomi qui vestita di azzurro pastello e pronta a realizzare ogni vostro desiderio culinario (urge specificare, considerando i soggetti che girano per questo blog.) Dunque ecco un dolcetto facile facile, che ho preparato in un pomeriggio di noia estrema per eliminare dal frigo le ultime pesche noci dell'anno.

Ingredienti:

  • una confezione di pasta sfoglia vegetale (che se c'avete sbatti, beh. fatevela da soli.)
  • tre pesche noci
  • marmellata di pesche
  • zucchero di canna
Ah, inoltre. Nel caso in cui a qualcuno non fosse chiaro, ci vogliono: carta da forno, una teglia e un forno.
Sì, oggi mi compiaccio della mia simpatia. Andiamo avanti prima che mi becchi un vaffanculo.

Preparazione:

Tagliate le pesche a spicchi sottili, stendete la pasta sfoglia su una teglia ricoperta di carta da forno, sbatteteci sopra un paio di cucchiaiate di marmellata di pesche (io c'avevo quella home made della zia. la culaggine), disponetevi le fettine di pesca in modo artistico, date una spolverata con lo zucchero di canna (poco, per carità. se no vi viene fuori una roba dolcissima e disgustevole) e infornate a 180° per 15/20 minuti. Io, per evitare di bruciare il mondo, ho un fantastico timer a forma di gallina felice. Non ce l'avete? Cazzacci vostri.
E niente. USCITE la torta dal forno, lasciatela raffreddare e poi servitela che è tanto buona. A casa mia non è durata 24 ore, per dirne una.

Beh, ora devo salutarvi. Sto per immergermi nel peggiore dei pomeriggi: ANDARE ALLA RICERCA DISPERATA DI UN REGALO PER MIO FRATELLO. Diamine, è una cosa che detesto. Soprattutto considerando che l'ultimo regalo che gli ho fatto, ha ricevuto un fantastico "spero di non dimenticarmi di averlo". No, non ha il cranio sfondato, potete stare tranquilli. In genere evito il pestaggio di membri minorenni della mia famiglia. Mi sfogo poi in altri modi, tipo girare per strada con una maschera da wrestler e una mazza da golf, urlando "ghhh ghhh ahhh ahhh" e sputando sui passanti.
Sì, ho finito.

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lunedì 21 ottobre 2013

Don't cry for me, Barcelona (parte due)

Lì da qualche parte, c'è Cristoforo che vi guarda.

E niente. Mentre cerco nella mia mente valide motivazioni per cui potrei sforzarmi di essere meno antipatica, Il Disturbatore aggiusta un phon in silenzio (sì, sta accadendo davvero) e questa giornata vira pericolosamente verso la noia mortale, io decido che, perché no, magari scrivo il secondo post su Barcellona. Anche se ormai lo stato d'animo del dopo viaggio è bello che andato e io sono tornata ad essere una milanese frustrata. Ma facciamo finta che io sia allegra, su. Immaginatemi in pigiama che ballo il can can, dai. Che ce la potete fare.
Allora, dove eravamo rimasti? Ah sì, la prima serata delle old girls. Dunque. Mentre camminavamo senza una meta (ma alla ricerca costante di cibo), abbiamo avvistato in lontananza la ruota panoramica.

L'infernale aggeggio.

Ovviamente, io e la old con la barba ci siamo eccitate a manetta. E abbiamo cominciato a saltellare e a emettere gridolini di gioia. Dunque, la nostra old più anziana, non ha potuto far altro che accompagnarci alla Barceloneta (la zona del porto e della spiaggia di Barcellona. l'amore, proprio.), dove l'abbiamo poi convinta a fare un giro con noi sull'infernale aggeggio.
Per la modica cifra di 3,50€, ci siamo accaparrate un posto dentro il cubicolo arancione e siamo partite alla volta del cielo. La old anziana, che non si capisce bene perché si sia lasciata convincere a salire, teneva gli occhi chiusi e bestemmiava in lingue antiche, mentre io e l'altra old ci scattavamo foto imbecilli, sotto lo sguardo divertito degli altri cinque o sei passeggeri. A un certo punto, la old con la barba, decide di violare le leggi di gravità e alzarsi in piedi per vedere il panorama dal lato opposto della cabina, strutturata in modo tale che il peso sia distribuito equamente in entrambi i lati. (ma dov'è la statua di Cristoforo Colombo? ah, dietro di lei? fa vedere...) Dunque accade il patatrac. Gli sguardi dei presenti si fanno terrorizzati, una bambina quasi piange e la old anziana diventa pallida come un cencio e comincia a minacciare di vomitarci addosso. Ma la ruota adesso si ferma, no? Quanti giri vuoi che faccia? Venti, ovvio. Non scenderemo mai più.
Ma siamo scese, alla fine. E dopo una mezz'ora passata sedute su una panchina per far riprendere la old anziana e lasciare che ci insultasse, abbiamo deciso di riprovare a procacciarci del cibo.
A Barcellona, mangiare non è mai un problema. In quella zona, in particolare, la strada è ricoperta di ristoranti, davanti ai quali c'è sempre un tizio o una tizia che ti sorride e cerca di convincerti a entrare nel suo. Noi ce li siamo passati in rassegna tutti, lasciando che i catalani cercassero di intortarci con le loro bellissime esse strascicate, e alla fine siamo tornate in Placa de Espanya, a digiuno.
Disperate, ci siamo infilate in un tapa tapa (una catena di locali dove se magna e se beve, ma attenzione perché non sono tutti uguali: prezzi e porzioni variano a seconda della zona.), dove aitanti camerieri ci hanno servito cibo e alcool e ci hanno inconsapevolmente intrattenute per tutto il resto del viaggio. Ma questa è un'altra storia.
Dunque. Se come me siete vegetariani, sappiate che nei locali di tapas mangerete solo patate. Patate patate patate. Tanto buone eh? Ma sempre patate.

Le patatas bravas (cristoquantoaglio) e le birrozze del tapa tapa.

Infine, esauste e vagamente ubriache, siamo rientrate nella nostra stanzetta. E abbiamo dormito come se non ci fosse un domani.

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venerdì 18 ottobre 2013

Cerco la perfezione

Anche se so che non dovrei.
E allora perché lo fai?
Perché sono programmata così. Non riesco a farne a meno.
Dovresti lasciarti andare... capire che le cose possono essere belle anche se imperfette.
E invece no, amica. Non è così, per me. Io ho bisogno della perfezione. Ho bisogno di dimostrare che posso essere perfetta.
E a chi lo devi dimostrare, scusa.
A me stessa.
Non capisco.
È molto semplice, in realtà. Quando passi la vita a sentirti dire che sei brava ma non lo sei abbastanza, dentro di te scatta qualcosa. E tu vuoi raggiungere quell'abbastanza del cazzo e superarlo. Girarti e fargli il dito medio, gongolando.
Però tu lo sai che non esiste, quell'abbastanza., vero? Lo sai che è fatto di aria, no?
Forse.
E allora perché non lo lasci andare e basta?
Non posso.
E perché?
Perché sono troppo arrabbiata. E non riesco a perdonarmi di essermi lasciata e di farmi ancora adesso condizionare da qualcosa che non si può cambiare, perché appartiene al passato.
Continuo a non capirti, amica.
Non pretendo che tu lo faccia.
Però vorrei. Potrei aiutarti, se me lo permettessi.
A me non serve il tuo aiuto, cazzo. Cosa ti fa pensare che mi serva?
Beh, sei qui.
Siamo arrivate insieme.
Lo so.
Io non sono una vittima. Non cerco attenzioni gratuite e non mi aspetto niente dal prossimo.
Solo da te...
Esatto.
Forse ti stai chiedendo troppo.
Forse non abbastanza.

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lunedì 14 ottobre 2013

Caro diario, vaffanculo.

E già dal titolo, ci siamo capiti. No?
Voglio dire, io non sono certo qui per sproloquiare sui miei problemi di vita, questo mi pare ovvio. Dunque quando la vita mi rompe i coglioni, sparisco. Puf. Perché a me le persone che si lamentano danno fastidio. Mi fanno prurito, proprio. E quando il mio umore è tale da rendermi incapace di pensare ad altro, se non alle mie sfighe, io fuggo. Perché a fingere non sono affatto brava.
Detto questo, op op op. Andiamo avanti. Non che io abbia molto da dire, per la verità. Se tracciamo una riga su ciò che mi fa incazzare, quel che rimane è veramente poco. Ho una valanga di propositi da realizzare, ma non ho la testa per mettermici seriamente. Quindi sprofondo il culo sul divano e mi drogo guardando un milione di episodi di The Mentalist, per dirne una. Oppure mi piazzo al computer e trascrivo il libro del bisnonno, per dirne un'altra. Oppure m'infilo le cuffie e immagino cose, focalizzo cose, penso a cose. Il tutto rigorosamente con la stufetta puntata sui piedi, a manetta. Che cazzo. Ma nascere, chessò, a Miami? No? Era chiedere troppo?
Comunque.
Quando ero alta più o meno come un cactus nano, avevo l'abitudine di tenere un diario. Ovviamente, come ogni piccola adolescente irritante che si rispetti, iniziavo ogni pagina con il classico "caro diario" (almeno fino ai 13 anni, quando ho iniziato a farmi le canne e allora iniziavo a scrivere con "ciao! sono ade! quella di ieri, ti ricordi? baci baci xyx hardcore 4ever. parliamone. poi la gente si chiede perché sono acida.) e lo consideravo un mio amico, proprio. Già. Con lui parlavo di tutto. Gli raccontavo le mie giornate, cosa avevo mangiato, perché, eccetera. Ma ciò che mi veniva meglio in assoluto, era parlargli delle mie sfortune. Sì. Più ero triste e più scrivevo. E poi mi sentivo meglio? Assolutamente no. Ma non siamo mica qui per dare una spiegazione a tutto, no? Non vorrete mica sapere perché il sole è giallo e il cielo è azzurro, eh? Che diamine.
Cosa stavo dicendo? Ah, sì. Il diario. A un certo punto, ho smesso. Ho preso tutti i vecchi diari che ho trovato, li ho buttati in un borsone e ciao.
Un giorno, poi, ho riaperto quel borsone puzzolente e ho dato una sfogliata annoiata a quelle pagine. Le conservavo perché, boh, magari un giorno, boh. Guardandole, tutto ciò che mi veniva da pensare era "patetica". Dio quanto eri patetica, Ade. Santa la pazienza mia. E allora li ho buttati. Tutti. Perché mi facevano venire prurito. E io lo detesto, il prurito. E detesto detestare il prurito. Ma che davero? Davero davero?
E niente. Alla fine, non lo so quale dovrebbe essere la morale di tutto questo. Forse che vaffanculo al diario segreto, se sono triste mi sparo quattro ore di serie tv mangiando patatine alla paprika, chi c'ha voglia di lamentarsi? O forse che anche le persone tristi possono migliorare, a volte. Guardate me! No, dico. Guardatemi! Non sono forse l'immagine della gioiosità? Sì. La sto smettendo.
No, l'ho capito. In questo preciso istante giuro che l'ho capito, qual è la morale.
Se sei triste, fanculo al diario segreto. Apri un blog. E scrivici talmente tante cazzate che, vedrai. Alla fine ti verrà da ridere. E allora ridi.

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venerdì 4 ottobre 2013

Sogno

Di essere rapita, perquisita, derisa, denigrata.
Sogno di scatenare la rivoluzione, di tirarmi fuori dai guai, di piangere.
Sono sempre le donne, a farmi male. Sempre le donne.
Cerco di ricordare i particolari, forse il mio inconscio vuole dirmi qualcosa di importante.

Forse dovresti evitare di tornare a casa la sera e mangiare come se non ci fosse un domani, cara Ade.

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martedì 1 ottobre 2013

Don't cry for me, Barcelona.

Ebbene sì, l'Ade ha viaggiato. Chi non ci crede alzi la mano, che gliela amputo. Zac.
Allora. Vi avevo promesso un post da persona seria e voi ci avete anche creduto magari in cui scrivo cose varie tipo "ciao sono Ade, ho venticinque anni quasi ventisei, ho due gatti e sono appena tornata da Barcellona; oggi vi racconterò della mia prima giornata mioddio mi sto già annoiando da sola".
E niente. Prima di cominciare il mio farneticare, temo mi tocchi presentarvi l'allegra compagnia che ha preso parte all'evento. Signori e signore, ecco a voi le bellissime, stupende, fragranti, meravigliose old girls.

Le old girls.
Se qualcuno ha qualcosa da obiettare, mi dispiace.
Sono sicura che le vostre menti argute avranno già intuito la serietà e il livello intellettuale del viaggio di cui forse prima o poi vi racconterò, magari quando avrò finito di farmi distrarre dalle innumerevoli boiate che partorisce la mia mente malata. Oppure quando Il Disturbatore la finirà di rendermi partecipe di ogni notifica comparsa sul suo cellulare, fingendo di non capire che la mia espressione facciale non è frutto di un leggero mal di stomaco ma è puro e semplice fastidio.

"ma c'è scritto accetta e i termini e le condizioni..."
"mm mm"
"e devo accettare?"
"mm mm"
"e le notifiche push? le devo accettare?"
"mm mm"
"ma non sono pubblicità?"
Cristoddio adesso glielo faccio mangiare, quel telefono.

E niente. Dicevo? Ah, sì. Sono stata a Barcellona, pèppèrèppèppè. L'ho adorata fin dal primo istante quando, atterrati sul suolo catalano, ci siamo regalati un delizioso brodino acquoso caffè. Siccome avevamo fretta di cominciare a visitare la città, abbiamo fatto tre volte il giro dell'aeroporto per capire dove minchiazza fosse il treno che ci avrebbe portati nel cuore della città. Una volta trovato, abbiamo acquistato un simpatico carnet da 10 biglietti (9,80€ e permette di viaggiare su bus, metro e treni per qualcosa come un'ora e un quarto. noi con tre carnet abbiamo girato quattro giorni. eh? visto che so farlo anch'io?) e un allegro signore dal sorriso bricconcello ci ha spiegato che potevamo usarne uno in tre e che nessuno ci avrebbe fatto storie, come probabilmente sarebbe invece accaduto a Milano, dove gli impiegati atm sono talmente simpatici che il solo pensarci quasi mi commuove.

"stai facendo qualcosa di molto importante?"
"...."
"mi aiuti a capire come importare i contatti?"
Chi mi conosce sa che faccia ho in questo momento.

Dunque abbiamo preso questo treno, poi la metro (avete presente il caldo umido/asfissiante degli spogliatoi in piscina? ecco. la metro di Barcellona: uguale.) e finalmente siamo giunti a piazza di Spagna, vicino alla quale si trovava il nostro albergo. Passeggiando per la Gran Via, chiacchierando del più e del meno (oh ma ti ricordi le zecche sulla moquette dell'ostello a Londra?) e inebriandoci dei profumi fogneschi particolarmente presenti in quel tratto di strada, siamo arrivati all'Hotel Climent. Nonostante fossimo qualcosa come sette ore in anticipo rispetto al check in, la receptionist dai capelli rossi ci ha dato la chiave della nostra stanza (una tripla piccola, abbastanza pulita, una grande finestra con vista sul traffico della Gran Via, bagno da disinfettare ma cambio biancheria giornaliero. cosa che speravamo vivamente, visto che una delle mie due old girl aveva sapientemente usato alcuni asciugamani per pulire il pavimento). Comunque. Siccome avevamo fame siamo tre donne intrepide, ce ne siamo bellamente infischiate delle più o meno due ore di sonno a testa e siamo uscite alla scoperta della zona. Poco dopo, quando le saracinesche abbassate cominciavano a ridere di noi, una simpatica signora ci ha spiegato che "avui és un dia de festa nacional" e io, che prima di partire mi ero sparata tutta la guida national geographic, le faccio "aaaaaah! festa de la mercé!" e lei "sí, la patrona de Barcelona!" e io "e adesso dove minchia lo troviamo da mangiare?".
No, questo non l'ho detto. Anche perché poco più avanti c'era una specie di supermercato aperto (in giro ce ne sono a bizzeffe) dove abbiamo comprato probabilmente il peggior pasto di quei quattro giorni.
E niente. Adesso vi lascio con qualche foto della giornata, perché la sera merita indubbiamente un post a parte. Un'anticipazione? Una delle old stava per morire di crepacuore sulla ruota panoramica. Uno spasso, insomma.

Arc de triomf
Ciutadella
Sfilata de la Mercé
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lunedì 30 settembre 2013

Vola vola vola vola l'Ade Swanza!

 



O meglio, volava.
Ormai si parla di qualche giorno fa. Questo per spiegarvi e giustificare la mia assenza, innanzitutto. Perché posso immaginare la vostra preoccupazione, il sudore freddo, i pianti isterici, l'incapacità di controllare i vostri fluidi corporei e tutto quanto è umanamente possibile in fase di assoluta disperazione, nata e cresciuta a vista d'occhio quando vi siete accorti che non c'ero! Dannazione! Dove minchia è andata l'Ade? Come faccio adesso senza di lei?
E invece eccomi, santa pazienza. Sono tornata. No, è che a me piace, lo adoro proprio, quando riesco a lasciare le persone senza fiato. No, perché ho pensato: quasi quasi non ce lo dico a quei grulli che mi leggono (dimostrando un alto livello di sopportabilità, il che è sempre un bel vantaggio) che me ne vado per qualche giorno. Sì. Quasi quasi li lascio a crogiolarsi in quella pappetta molliccia che è la suspance. Quasi quasi non scrivo per un po' così vedo se mi cercano. Quasi quasi vedo se i computer dell'intero pianeta implodono, se manco io. Va bene, la smetto. 
La verità è che c'avevo un'ansia tale di partire, che mi sono dimenticata di tutto il resto.
E niente. Prometto solennemente che a breve ahahahahah vi parlerò del viaggio. Ho anche preso appunti utili per cercare di provare a me stessa che sono una blogger professionista ahahahahah oggi sono una comica, proprio. Per il momento sto ancora cercando di riprendermi dallo shock del rientro e dall'inevitabile fine di questo amore appena nato.
Allora. Chi indovina dove sono andata? Dai! Volete dirmi che dalla foto non si capisce?!


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mercoledì 18 settembre 2013

Sono le 9:00

I primi tre capitoli di questo racconto li trovate rispettivamente qui, qui e qui. Come? Non li avete ancora letti? Dico, ma volete per caso farmi arrabbiare?


Mentre la giovane è in bagno, lui riflette su un paio di punti che gli sono sfuggiti, poco fa. Perché ha bussato alla sua porta? Come poteva sapere che lui non sarebbe stato un pericolo? Chi le diceva che non l'avrebbe denunciata per aver violato la legge ed essere uscita da sola?
Prende due piatti dal piccolo mobile, li sciacqua, li asciuga e li appoggia sul tavolo di pietra. Poi riempie due bicchieri di latte e serve la colazione. Si siede e aspetta. Passano ancora svariati minuti e, finalmente, la ragazza riemerge.
"Grazie... davvero è stato molto gent..."
Si blocca, vedendo la tavola apparecchiata, e un sorriso incredulo le sboccia sul viso. Lui non dice nulla, ma le fa cenno di accomodarsi. I due mangiano, in silenzio, ma tirandosi reciprocamente occhiate curiose.
Quando piatti e bicchieri sono stati vuotati alla perfezione, lui si alza e sparecchia, mentre lei sembra contemplarlo come se non avesse mai visto un personaggio simile.
"Era davvero molto buona, la colazione, sa? È bravo in cucina..."
Lui, ovviamente, non risponde.
"Chi le ha insegnato? Sua madre?"
Silenzio.
"Beh, comunque era davvero deliziosa..."
L'unico rumore percepibile è lo sbatacchiare dei piatti nel lavandino. Lei, però, non ha intenzione di arrendersi.
"Mi scusi, ma lei è muto, per caso?"
Lui si volta e la guarda, con gli occhi sgranati. Si avvicina e, col dito, le disegna un enorme no sul tavolo. Lei lo guarda, esterrefatta.
"Oh... dunque lei parlerebbe ma non vuole parlare... con me?"
Lui scuote vigorosamente il capo, sbuffando, e le disegna un altro no sul tavolo. Lei sorride.
"Quindi, in pratica, mi sta dicendo che non ha intenzione di farmi alcuna domanda? Non le interessa sapere nulla di me? Mi ha permesso di usare il suo bagno e di mangiare il suo cibo, e non le importa sapere chi sono?"
Lui inclina leggermente la testa di lato, e ci pensa su. Certo che vuole farle delle domande, dannazione. Una voce nella sua testa gli ripete che non deve lasciarla andare, non può. Ma oggi è il giorno, come farà a occuparsi anche di questo? Oggi avrebbe dovuto seguire un iter preciso, niente avrebbe dovuto distrarlo dal suo obiettivo. Eppure eccola lì, seduta di fronte a lui. Questa ragazza dal sorriso simpatico che gli è piombata in casa e Dio solo sa cosa pensava quando ha deciso di infilarsi qui dentro. Le cose cambiano e i giovani non hanno più paura.
Si siede e la osserva. Lei aspetta una sua risposta e lui non ha la più pallida idea di cosa fare. Infrangere una sua regola per la prima volta nella vita? O lasciare questa giovane donna al suo destino? Restano lì, a guardarsi. Come se gli occhi potessero davvero parlare.

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lunedì 16 settembre 2013

Sono partita per la tangente

Che io sono un po' così, vado a periodi. Ci sono quelli che sì e quelli che vaffanculo. Adesso è un periodo sì, per esempio. Allora mi sono messa d'impegno e ho cominciato a rimuginare sulle critiche e i consigli che mi sono stati dati dalle persone che finora hanno letto il mio primo romanzo. Il mio bambino. Quello che ho finito, dopo un blocco di circa sei anni, grazie alla nascita di questo blog, che mi ha ispirata, che mi ha cambiata, che mi ha dato e continua a darmi lo stimolo per non mollare. E quando parlo di blog, non intendo solo ciò che scrivo e condivido, ma intendo anche voi. Che mi leggete, mi seguite, mi fate ridere e mi rendete una persona migliore. O più accettabile, per lo meno. (come sono romantica, diamine. mi faccio quasi impressione.)
E niente. Ho deciso di apporre delle modifiche non indifferenti al mio lavoro. Perché lì dentro, almeno nella prima parte, quella in cui Ade non c'era ancora, non mi ci rispecchiavo più. E quello che ne è uscito mi piace parecchio. Sono soddisfatta, insomma. Poco tempo fa, solo all'idea di riprenderlo in mano mi veniva male. Mi sembrava quasi di poterlo deturpare, toccandolo. Di cancellare la sua autenticità. Era una cazzata, ovviamente. È innegabile che l'Ade che scrive adesso sia diversa da quella persona che scriveva sei anni fa. E più brava, claro. Già. Sto cercando di smetterla di vedermi come una pernacchiona che non sa fare niente, per intenderci. E questo grazie ad alcuni di voi che, rifilandomi gran pacche sul sedere (metaforicamente parlando, eh? che io c'ho anche un fidanzato), mi avete spinta a non arrendermi. Ed io non mi arrendo, santa pazienza. Perché arrendermi vorrebbe dire accettare di mettere da parte l'ennesimo sogno. Ed io non ne ho la minima intenzione, questa volta. Quindi, alla fine, quello che volevo dirvi è questo. Grazie.


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sabato 14 settembre 2013

Quale mai sarà la risposta giusta?


 

E niente. Rido.


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martedì 10 settembre 2013

Bom-bobobom-bobobom-bobobom

Lalalalalallà - lalalalalallà.
E niente. Vi volevo dire che sono sopravvissuta alla messa delle 18.30, ai parenti di Mr. Ade, alla cena al ristorante chic e tutto il resto.
Flashback dell'evento.
Io che, fissando inorridita i prezzi delle portate sul menù, chiedo sottovoce a Mr. Ade se DAVVERO DOBBIAMO PRENDERE ANTIPASTO, PRIMO E SECONDO. Ma che davvero? Davvero davvero?
Povera plebea, mangiatrice di falafel e patatine fritte, indossatrice di vestiti low cost.
Alla fine ho preso solo il primo. Perché non avevo più fame io devo distinguermi dalla massa, è più forte di me.
Comunque è andata meglio di come pensavo. Sono uscita indenne dalla crisi isterica del "cosa cazzo mi metto" grazie alla Zia che sì è lanciata in mio estremo soccorso con la borsa piena di cose fighe e alla fine ho optato per jeans, scarponcini bassi beige, camicetta a righe blu e beige e la mia fighissima borsetta vintage presa in fiera a Porta Genova per la modica cifra di 4 euro. Adoro.
Sono anche riuscita a non ridere in chiesa, sono forte eh? Cosa che non mi riusciva dall'ultima volta che c'ero stata... ehm... fatemi pensare un attimo... dunque, nel 2008 al matrimonio di mio zio? Può darsi. Ecco. Lì avevo riso. E anche Il Disturbatore aveva riso. E tutti ci avevano guardato con quella faccia che vuole intimare di avere un po' di rispetto, inutili eretici del cazzo che siamo.
La nonna di Mr. Ade ha anche promesso che mi preparerà i cavatelli fatti in casa con le cime di rapa. E una promessa del genere non può che infondere tanto, tanto amore in me.
Secondo flashback dell'evento.
-Ma prendi solo il primo?
-Sì, grazie.
-Beh, certo. Devi mantenerti snella, sarai a dieta.
RIDO. Proprio non mi conoscono, ancora.

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lunedì 9 settembre 2013

Quanto ti amo, panino vegano.


 

L'artefice di questa mia nuova e gustosissima passione è la mia seconda dolce metà (quella con la patata, per intenderci), ossia la Patty. Grazie a lei ho scoperto lo spaziale accostamento: avocado/pomodoro/maionese (sì lo so che la maionese non è vegana, ma basta comprare quella di riso et voilà. oppure potreste provare ad autoprodurvela, cosa che io ho rinunciato a fare dopo la quinta volta che mi veniva uno schifomerda). Pensate! Ho comprato il mio primo avocado tutto da sola e sono riuscita A) a comprarlo maturo al punto giusto B) a sbucciarlo! uh ah! Sono forte, eh? La Patty sarebbe davvero orgogliosa di me se solo adesso non fosse al mare a godersela alla faccia mia 'rtacci sua.
E niente. Immagino di non dovermi dilungare nel spiegarvi come si prepara (è un panino, santa pazienza. ce la farete da soli, no?) ma ritengo doveroso soffermarmi su un aspetto da tenere seriamente in considerazione.
Una cosa che non dovete assolutamente fare (e parlo per esperienza personale) è pensare di divorare codesto panino in compagnia di qualcuno che non vorreste mai vi vedesse con il naso, il mento, le mani, i pantaloni, le scarpe, il pavimento completamente spalmati di maionese tendente al verdognolo. Forse avrei dovuto, per sensibilizzarvi al meglio, mostrarvi la fotografia di me nel dopo-panino. Ma conservo ancora un po' di amor proprio e ho deciso che no. Meglio di no. Certo se voi pensate di riuscire a mangiarlo senza sporcare né voi stessi né il prossimo vostro, allora ok. Vi sfido. Ma vi consiglio di fare la prova dell'involtino primavera, prima: provate un po' a mangiare un involtino primavera SENZA FAR FUORIUSCIRE TUTTA LA VERDURA. Mia zia ci riesce, per dirne una. E io da bambina rimanevo sempre allibita a fissarla da dietro i miei occhialoni rosa scelti da quella stronza con pessimo gusto da mia madre. Diamine, son cose che ti segnano, eh?
Dicevo, se ci riuscite (ma voglio le prove), allora potreste essere in grado di mangiare questo panino in compagnia senza compromettere la vostra identità di persone per bene. Io e la Patty non abbiamo questo problema, no. Dovreste vederci quando mangiamo le tortillas ripiene di fagioli e salsa piccante e tutto quello che di commestibile c'è in frigo. La tenerezza, proprio. Poi ci facciamo a vicenda delle allegre foto che potremo eventualmente utilizzare quando avremo bisogno di estorcere un favore all'altra.
Anche io e Mr.Ade ci si diletta in questo simpatico passatempo. Per esempio io conservo gelosamente una sua foto mentre dorme in una posizione assurda e si vede la pancetta e lui contraccambia con una foto di me in pigiamone invernale con tanto di kefiah sulla testa (non chiedetemi il perché) che gioco all'x-box. E quando gioco all'x-box aaaaaah quando gioco all'x-box do il meglio di me in fatto di espressioni intelligenti. Chevvelodicoaffare.
Comunque io stavo parlando del panino che è molto buonissimo e voi dovete proprio provarlo. Ebbasta.

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sabato 7 settembre 2013

Molto forte, incredibilmente vicino


Allora. Perché si sappia, Jonathan Safran Foer, con il suo "Se niente importa, perché mangiamo gli animali" è stato l'artefice del mio cambiamento alimentare e io lo adoro (sono quasi sicura di avervelo già detto ma, ahimé, mi drogo e dunque la memoria è quel che è). E ho adorato anche il suo dolcissimo "Molto forte, incredibilmente vicino", su questo non ci piove. Bramavo per vedere il film e quando finalmente sono riuscita a vederlo, come succede quasi sempre quando guardo un film di cui ho già letto il libro (nonostante Sandra Bullock sia una delle attrici che amo di più), non sono rimasta soddisfatta. Benché io non possa assolutamente dire che sia un brutto film (mi sono anche commossa, snif snif), non me la sento nemmeno di esclamare "wow". Lungo, triste e abbastanza noioso, non è riuscito a trasmettermi nemmeno la metà di ciò che mi ha trasmesso, invece, il romanzo. Ma, d'altronde, realizzare un film su una storia come quella di Foer, non deve essere stato troppo facile.
Oskar ha perso il padre, l'11 Settembre 2001. "Il giorno più brutto". Il giorno in cui, tornando a casa da scuola, trova i messaggi del suo papà che, intrappolato in una delle due torri, spera di riuscire a parlare con la famiglia. Oskar li ascolta e, quando il telefono ricomincia a squillare, non ha il coraggio di rispondere. Allora decide di staccare la segreteria e sostituirla con una nuova: nessuno dovrà mai sentire i messaggi di suo padre. Solo lui.
Un giorno, curiosando nell'armadio del genitore, Oskar trova una chiave avvolta da un biglietto sul quale c'è scritto "Black". Da qui ha inizio la sua missione: trovare la serratura a cui appartiene quella chiave e avvicinarsi un'ultima volta a quel padre che ha amato e che ama così profondamente. Oskar decide di affrontare le paure nate in lui dopo "il giorno più brutto" e si presenta alla porta di tutti i 472 Black di New York.
E niente. Se non avete letto il libro, fatelo. Vi innamorerete del piccolo protagonista, credetemi (ve ne ho parlato qui, eventualmente).
Il film, per quanto mi riguarda, così così.

"Se il sole esplodesse, non ve ne accorgereste se non dopo otto minuti perché questo è quanto ci mette la luce a viaggiare verso di noi. Per otto minuti il mondo sarebbe ancora luminoso e caldo. Era passato un anno dalla morte di mio padre e sentivo che i miei otto minuti con lui stavano per finire."

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venerdì 6 settembre 2013

Io sono leggenda


Ebbene sì. La mia prima volta con Richard Matheson, che è scomparso proprio quando io l'ho scoperto, a Giugno di quest'anno. E che prima volta, oserei dire. Perché a me questo suo "Io sono leggenda" è piaciuto un casino. Me lo sono divorato, proprio. Altro che il filmaccio con il buon Willy, visto anni fa, che mi aveva lasciato un po' così. Il libro è.... è.... buaaaah. Capito che intendo?
E niente. La storia è questa qui. C'è Robert, ultimo uomo sopravvissuto sulla terra, con le ferite ancora sanguinanti dopo la perdita della sua famiglia, con un unico fidato amico (l'alcool) a fargli compagnia in una serie infinita di giornate passate ora alla ricerca di qualche altro individuo come lui, ancora non contagiato dal virus che ha reso l'umanità schiava di una innaturale sete di sangue (ma sarà un virus, poi? un batterio, forse? una maledizione divina?), nella speranza che qualcosa possa cambiare, qualcosa si possa ancora fare, ora a desiderare più di ogni altra cosa la morte. Fino al giorno in cui incontra una donna, apparentemente viva, apparentemente umana e una piccola luce di speranza si riaccende in lui.
Bellissimo.

"Il cerchio si chiude. Un nuovo terrore nasce nella morte, una nuova superstizione penetra nell'inespugnabile fortezza dell'eternità. Io sono leggenda".


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mercoledì 4 settembre 2013

Ade e il nuovo amore.




Ma quanto è bella?

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martedì 3 settembre 2013

Harry ti presento Sally


Ma quanto è bello questo film?
Ma quanto era bella Meg Ryan prima di riempirsi la faccia di gomma?
Ma che davvero le donne negli anni '80 si vestivano così?
E niente. Harry e Sally s'incontrano per la prima volta per fare insieme un viaggio in macchina fino a New York.

-Ti rendi conto vero che non potremo mai essere amici.
-Perché no?
-Beh ecco... e guarda che non ci sto provando in nessunissimo modo. Uomini e donne non possono essere amici perché il sesso ci si mette sempre di mezzo.
-No non è vero, io ho tantissimi amici maschi e il sesso non c'entra per niente.
-Non è così.
-Sì, invece.
-No invece.
-Si invece.
-Tu credi sia così.
-Stai dicendo che io ci vado a letto senza accorgermene?
-No, sto dicendo che loro vogliono venire a letto con te.
-Non è vero.
-È vero.
-Non è vero.
-È vero.
-E come lo sai?
-Perché nessun uomo può essere amico di una donna che trova attraente, vuole sempre portarsela a letto.
-Allora stai dicendo che un uomo riesce ad essere amico solo di una donna che non è attraente?
-No, di norma vuole farsi anche quella.
-Ma se lei non vuole venire a letto con te?
-Non importa, perché il click del sesso è già scattato quindi l'amicizia è ormai compromessa e la storia finisce li.
-Credo che non saremo amici allora.
-Credo di no.
-Ah è un peccato. Eri l'unica persona che conoscevo a New York


Dopo qualche anno si incontrano di nuovo, in aeroporto.

-Se uno ti accompagna all'aeroporto, è chiaro che è all'inizio di una storia. Ecco perché io non accompagno nessuno all'aeroporto all'inizio di una relazione.
-Perché?
-Perché alla fine le cose cambiano, e tu non l'accompagni più all'aeroporto, e io non voglio sentirmi dire: Come mai non mi accompagni più all'aeroporto?

(Inutile dirvi quanto io adori Harry.)

E dopo qualche anno, di nuovo.

-Uno senza faccia che ti strappa i vestiti è la fantasia sessuale che hai da quando avevi dodici anni, sempre la stessa?
-Be', a volte la vario un tantino.
-In che senso?
-Cambio i vestiti.


Non aggiungo altro perché, secondo me, vi siete già convinti ad andare a ripescarlo. Anche se, considerando che è un film del 1989, probabilmente l'unica pirla che non l'aveva ancora visto ero io.


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