Siamo bravissimi a farlo, soprattutto quando siamo infelici.
La storia che sto per raccontarvi, me l'ha fatta tornare in mente
lei, con questo suo
post.
Quando avevo circa dodici/tredici anni, chattavo su Msn.
Lì, ho conosciuto M., un ragazzo romano, già maggiorenne, che mi faceva tanto ridere.
Chiacchieravamo del più e del meno, ogni giorno.
Poi le chiacchiere sono diventate via via più personali, la chat si è trasformata in lettere (sì, di carta, coi francobolli e la busta da leccare) e telefonate che duravano ore.
Lui mi capiva, mi voleva bene, era come un fratello maggiore.
O meglio, come il migliore amico di mio fratello maggiore, perché io, alla fine, di lui ero innamorata.
Non che non avessi altre robe per la testa, quello no.
Anche perché lui mi aveva detto chiaro e tondo "finché non compi diciotto anni, non possiamo vederci.".
Io avevo provato a insistere, si capisce, ma lui era stato irremovibile.
Così la nostra amicizia è continuata per cinque, forse sei lunghi anni.
Gli raccontavo tutto, anche dei miei fidanzati, della mia famiglia, della vita che mi faceva schifo.
E lui mi diceva cose belle, bellissime. Mi tirava su il morale, mi voleva bene, mi amava.
Ti amava?!
Certo, certo che mi amava.
Bisognava solo aspettare il momento giusto, poi tutto si sarebbe concluso felicemente. Io sarei andata a Roma, città dei sogni, e la nostra storia sarebbe diventata reale, tangibile, meravigliosa.
Poi i diciotto anni sono arrivati, eccoli lì.
Me li ricordo, sì. Festeggiai con lo zaino pieno di birre, da sola, girando per il quartiere finché non mi vinse il sonno. E non perché non avessi amici, no. Ma perché ero già un po' psicopatica allora, forse più di adesso.
Poi sono arrivati i diciannove e, finalmente, sia io sia M. eravamo liberi da altri impegni sentimentali, pronti per coronare il fantastico sogno d'amore di cui ero l'unica fautrice consapevole.
Non ricordo quasi nulla di quei giorni.
Non so più se lui mi venne a prendere in stazione o se vagai per la città in attesa che finisse di lavorare e lo raggiunsi a casa. Non ricordo di cosa parlammo, cosa mangiammo, dove andammo.
Ricordo solo poche, pochissime cose.
Lui non era bello, non proprio. Ma il fatto che non fosse canonicamente bello non mi toccava. Lui mi capiva, era mio amico, mi amava. Fine.
Era pomeriggio - o forse no - e ce ne stavamo sdraiati sul divano. Io ho voltato la faccia, lui ha voltato la faccia e ci siamo baciati. Lui ha detto "finalmente" e poi abbiamo scopato. Cioè, lui ha scopato. Ed io ho lasciato che facesse un po' come gli pareva.
Non m'importava di aver trovato una lettera della sua ex in cucina, e nemmeno che facesse un cristoddio di rumore mentre mangiava, soffiando via l'aria dal naso.
Ffh ffh fffffh.
Io avevo deciso che era lui e lui doveva essere.
Fosse stato per me, non sarei più tornata a casa.
Il giorno dopo, però, è successa una cosa.
Stavamo camminando per strada, credo, e lui mi ha chiesto cosa mi andava di mangiare. Cinese o pizza?
Io gli ho detto che per me faceva lo stesso e lui ha iniziato a urlare.
PRENDI UNA CAZZO DI DECISIONE. IO TI OSPITO, TI PORTO IN GIRO, TI TRATTO COME UNA PRINCIPESSA E TU NON SAI NEMMENO DIRMI SE VUOI UNA CAZZO DI PIZZA O UNA CAZZO DI CENA CINESE.
Siamo tornati a casa, in silenzio.
Lui ha mangiato in cucina, io mi sono chiusa in una stanza a piangere.
Poi credo che sia successo qualcosa di orrendo e imbarazzante.
Credo di averlo pregato, credo di avergli detto che volevo stare con lui, che lo amavo e cose così.
E credo che lui mi abbia guardato come se fossi uno scarafaggio che infestava il suo salotto.
Ho pianto tutta la notte e poi, all'alba, ho preso il mio zaino e sono uscita da casa sua, in silenzio.
Ho pianto per tutto il viaggio, ho scritto ai miei amici e non ho mangiato.
Il mio sogno era infranto, perduto, finito.
In stazione ci ho trovato loro ad aspettarmi. Mi hanno portata al luna park e hanno tentato di accoppiarmi con un tizio napoletano di cui non ricordo il nome, comunque era pelato.
Potrei dire di aver imparato qualcosa da quella storia di merda, ma non è stato subito così.
Ce ne sono volute altre, di storie di merda, perché imparassi qualcosa davvero.
Idealizzare qualcuno, che sia un coglione conosciuto in chat o una vicina di casa, non è mai, mai la scelta migliore da fare. Però lo facciamo spesso, ogni giorno, e ancor di più quando la realtà che viviamo ci opprime, ci fa vomitare, ci disintegra.
Oggi, comunque, posso dire di aver smesso di rifugiarmi nei sogni.
E no, non perché ho smesso di sognare.
Ma perché ho capito che rifugiarsi non è la soluzione.
La soluzione è alzarsi in piedi e realizzarli, e non aspettare che lo faccia qualcun altro per te.
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